Elogio della Sfogliatella di Napoli: il barocco commestibile che Dio ha dimenticato di brevettare
- The Introvert Traveler
- 2 giorni fa
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Dove: Sfogliatelle Attanasio, Vico Ferrovia, 1-4, Naples, Italy 80142
Ultima visita: ottobre 2025
Mio giudizio: 9/10
C’è un momento, nella vita di ogni persona civilizzata, in cui il palato incontra la sfogliatella di Napoli e capisce di essere stato finora vittima di un gigantesco malinteso gastronomico. Tutto ciò che prima chiamavi “colazione” — brioche, croissant, muffin — svanisce come un sogno scialbo al risveglio. Perché la sfogliatella non è un dolce: è una rivelazione, una conversione, un’apparizione mariana sotto forma di carboidrato stratificato.
Impossibile affrontarla senza un minimo di rispetto metafisico. Ti si presenta lì, tronfia e lucente, con quelle pieghe d’oro che nemmeno un architetto barocco ubriaco di Bernini avrebbe osato immaginare. È un piccolo Palazzo Costantino alla Costigliola fatto di burro e presunzione. Ogni lamina è una rampa di scale, ogni granello di zucchero una decorazione a stucco.
La sfogliatella riccia — quella vera, quella che quando la addenti ti schiaffeggia di briciole come un camorrista a cui hai inavvertitamente lanciato un'occhiata di troppo — non si mangia: si affronta. Ti sporca la camicia, ti umilia la dignità, ma poi ti perdona. Dentro, un cuore di ricotta, semolino e canditi ti ricorda che anche la dolcezza, in fondo, è una questione di potere. Il profumo d’arancia ti sale al cervello come una droga legale, mentre il guscio croccante ti avvisa: “Attento, non sei a Parigi. Qui si suda per la beatitudine.”
Poi c’è la frolla, la sorella borghese. Quella che si presenta in pubblico con il cappottino di pasta e la postura da dama di buona famiglia. Più educata, meno esplosiva, quasi contemplativa. Ma anche lei, sotto sotto, nasconde la stessa anima sovversiva: il ripieno è lo stesso, l’intento pure — conquistarti, ma con grazia assassina.
La sfogliatella è il dolce più napoletano perché è il più teatrale: non ha paura di esagerare, di brillare, di sbriciolare la realtà intorno a sé. È un’iperbole che si può mordere. Ogni morso è un colpo di scena, un’aria d’opera, un pezzo di “Don Giovanni” eseguito da un forno a legna.
Provate, se avete coraggio, a mangiarla senza sporcarvi. È un test morale: chi ne esce illeso, mente. Le briciole sulle mani, sul tavolo, sul pavimento e nella vita sono il prezzo della bellezza. Napoli lo sa: l’ordine è un vizio del Nord.
Si dice che le monache di Santa Rosa l’abbiano inventata per non sprecare gli avanzi. Che le suore, nel silenzio del chiostro, abbiano dato forma a quella che è in realtà la più carnale delle preghiere. E se è vero — come dicono i teologi più sensibili — che Dio si manifesta nelle pieghe del reale, allora la sfogliatella è la sua calligrafia più riuscita.
Perché, in fondo, il napoletano non ha bisogno del paradiso: gli basta una sfogliatella calda, un caffè corto e il tempo che si ferma, giusto il necessario per pensare — tra un morso e l’altro — che la felicità, quando esiste, fa rumore.












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