L’arte dell’affresco: tecnica, storia e complessità di un patrimonio pittorico italiano
- The Introvert Traveler
- 7 mag
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I. Introduzione
La tecnica dell’affresco rappresenta una delle più alte conquiste della pittura nella storia dell’arte occidentale, e in particolare italiana. Il termine stesso si riferisce alla peculiarità del dipingere su intonaco ancora umido (a fresco), in contrasto con la pittura a secco. Sebbene l’affresco sia un mezzo visivo spesso dato per scontato, soprattutto in Italia dove orna pareti di chiese, palazzi e cappelle con una diffusione straordinaria, esso richiede una padronanza tecnica, una progettazione complessa e una cooperazione tra maestranze che ne fanno un’impresa artistica tra le più articolate della storia dell'arte; ogni singolo affresco è un prodigio di maestria che non dovrebbe passare inosservato.
Entrando in una qualsiasi chiesa o palazzo italiano con le pareti decorate a fresco, l'osservatore medio spesso non coglie quale prodigio della tecnica abbia davanti agli occhi e quali complessità l'artista abbia dovuto padroneggiare per consegnare all'eternità la propria opera.
II. Storia dell'arte dell'affresco
La tecnica dell'affresco era già nota agli Egizi e agli Etruschi, ma è con la società romana che raggiunge il proprio apice, prima di cadere provvisoriamente nell'oblio fino al termine del medioevo.
Il primo grande teorico dell’architettura e delle arti murarie a fornire una descrizione articolata della pittura murale fu Vitruvio, nel suo trattato De Architectura (I sec. a.C.), destinato all’imperatore Augusto. Nel Libro VII, Vitruvio illustra la preparazione delle superfici murarie e dei colori, fornendo una testimonianza essenziale sulla tecnica dell’affresco presso i Romani.
Vitruvio distingue fra intonaci a più strati (fino a sette), dove la malta veniva accuratamente battuta e lisciata con pietra pomice, e l’uso di pigmenti stabilizzati con cera o calce viva, talvolta protetti da strati lucidi di punicera (una sorta di vernice a base di cera d’api e resina).
L’arte dell’affresco romano era altamente elaborata, come dimostrano i ritrovamenti a Pompei ed Ercolano.
Con il crollo dell’Impero Romano, si persero gradualmente le conoscenze necessarie per la complessa realizzazione della tecnica dell'affresco, pur sopravvivendo alcune pratiche nei cantieri paleocristiani e bizantini. A Ravenna, ad esempio, nel VI secolo, le basiliche (Sant’Apollinare in Classe, San Vitale) presentano decorazioni prevalentemente mosaicistiche, ma alcune zone minori venivano affrescate con materiali più semplici.
Nel resto d’Europa, la tecnica dell’affresco si semplifica, dando priorità alla pittura a secco per motivi pratici. Tuttavia, alcune abbazie carolingie e romaniche (come Saint-Savin-sur-Gartempe in Francia) testimoniano una persistenza dell’uso del fresco, sebbene con qualità pittorica e materiali inferiori.
Si deve attendere il XIII secolo per assistere alla rinascita tecnica della pittura murale, guidata in Italia da Giotto di Bondone (1267–1337). La sua opera nella Cappella degli Scrovegni a Padova (1303–1305) segna una svolta epocale con la ripresa, in chiave monumentale, della pittura murale. Giotto non era solo un pittore: era anche un maestro di cantiere, in grado di coordinare stuccatori, scalpellini, impasti di calce e coloristi. L’uso del cartone preparatorio, la divisione delle frazioni di lavoro in giornate (in luogo delle "pontate" in uso nella pittura a fresco dell'antica Roma, quando la stesura dell'affresco procedeva secondo lo spazio reso disponibile dalle impalcature) e l’armonia tra architettura e pittura derivano da un sapere tecnico avanzatissimo che viene riesumato e sviluppato da Giotto; questo sapere viene infine codificato da Cennino Cennini, erede diretto della scuola giottesca, che alla fine del 1400 codifica nel suo Libro dell'Arte tutti i passaggi necessari per la perfetta realizzazione dell'affresco, tracciando la strada per le grandi botteghe che a partire dal Rinascimento decoreranno le superfici dei più bei palazzi italiani.
III. Le fasi della realizzazione di un affresco
1. Preparazione del supporto murario
La parete viene innanzitutto spazzolata e stuccata per eliminare ogni impurità. Si procede quindi con una prima stesura di intonaco grezzo (arriccio), costituito da sabbia e calce, spesso lasciato ad asciugare anche per settimane. Su questa superficie asciutta si traccia il disegno preparatorio (o sinopia), generalmente realizzato con pigmenti rossi naturali, destinato a scomparire sotto l'intonaco.
2. Stesura del tonachino (intonaco fine o intonachino)
Si applica poi uno strato sottile di intonaco fresco, composto da calce spenta e sabbia fine: è la giornata, ovvero la porzione di muro che il pittore prevede di completare in una singola giornata di lavoro. La calce umida reagisce con l’anidride carbonica presente nell’aria e, attraverso un processo chimico chiamato carbonatazione, cristallizza inglobando i pigmenti e rendendo l’opera virtualmente eterna. E' questo il momento più delicato, che richiede particolare maestria, sia dell'artista, che delle sue maestranze; non solo la possibilità di dipingere una sola frazione di intonaco al giorno impone grande abilità nel procedere nei passaggi tra stesure successive senza lasciare la minima soluzione di continuità tra la pittura stesa un giorno e quella stesa nel giorno successivo, ma l'artista deve conoscere a perfezione la capacità di assorbimento dell'intonaco di modo che la tonalità del colore steso da un giorno all'altro, e destinato progressivamente a sbiadire man mano che la superficie si asciuga, resti perfettamente uniforme da una giornata di stesura all'altra. Le fonti narrano diffusamente le difficoltà incontrate da Michelangelo nel realizzare l'affresco della Cappella Sistina, non solo a causa dei diversi materiali che venivano utilizzati a Roma (sabbie vulcaniche e calce di travertino), rispetto a Firenze (calce calcarea e sabbie silicee dell'Arno), dove Michelangelo aveva ricevuto la propria formazione da pittore nella bottega del Ghirlandaio, ma anche a causa del diverso assorbimento dell'umidità da parte delle pareti della Sistina.
La stesura dell'intonaco era un'attività talmente specialistica che, ad esempio, per la realizzazione dell'affresco della Sistina, Michelangelo volle rigorosamente ed esclusivamente al suo fianco Jacopo Torni, che si era formato con lui alla bottega del Ghirlandaio ed era l'unica persona sulla cui abilità Michelangelo riponeva piena fiducia.
3. SPOLVERO
Una volta steso l'intonaco è necessario trasferire il disegno sulla superficie dell'intonaco. Il disegno veniva infatti innanzitutto realizzato sul "cartone" (famosi quelli, giunti intatti fino a noi, di Raffaello per le Stanze Vaticane, conservati alla Pinacoteca Ambrosiana). Il disegno realizzato sul cartone veniva poi trasferito sull'intonaco con la tecnica dello spolvero, ovvero bucherellando la sagoma del disegno e passando del colore polverizzato attraverso i fori in modo da trasferirlo sulla parete intonacata.
4.Applicazione dei colori
I pigmenti, sempre minerali e resistenti alla calce alcalina (come la terra d’ombra, l’ocra, il cinabro, l’azzurrite), sono mescolati con acqua e applicati direttamente sull’intonaco fresco. L’assorbimento avviene rapidamente, impedendo correzioni e ripensamenti. Alcuni dettagli venivano aggiunti a secco (sull’intonaco asciutto), ma con minore durabilità.

IV. Complessità e virtuosismo
La pittura ad affresco richiede una perfetta sincronizzazione tra progettazione e realizzazione. L’artista non solo deve possedere straordinarie doti grafiche e cromatiche, ma anche una profonda conoscenza chimico-fisica dei materiali. La divisione dell’opera in giornate, ciascuna da completare in poche ore, impone una gestione del tempo rigorosa. Ogni errore comporta la rimozione dell’intonaco e la ripetizione della preparazione.
Il Vasari, nelle sue Vite de’ più eccellenti pittori, scultori et architettori, sottolinea più volte la difficoltà insita nella pittura a fresco, elogiando artisti come Giotto, Masaccio, Michelangelo e Raffaello per la loro capacità di "dominar la calce".
V. Esempi storici e testimonianze
Giotto nella Cappella degli Scrovegni (Padova, 1303–1305)
La decorazione della cappella fu commissionata da Enrico Scrovegni come atto di redenzione familiare. Il ciclo fu completato in meno di due anni, un tempo straordinariamente breve data la complessità dell’opera. La realizzazione impiegò non solo Giotto ma anche una squadra di aiuti specializzati (scalpellini, stuccatori, assistenti di bottega), di cui però le fonti non sempre ci tramandano i nomi.
Studi recenti indicano che il costo dell’intera impresa ammontò a circa 1.300 lire padovane, equivalenti oggi a svariate centinaia di migliaia di euro.

Masaccio nella Cappella Brancacci (Firenze, 1424–1427)
Masaccio, insieme a Masolino da Panicale, avviò la decorazione della Cappella Brancacci con un ciclo che rappresenta una delle vette dell’affresco rinascimentale. Masaccio morì prematuramente, lasciando l’opera incompiuta. I documenti d’archivio testimoniano il coinvolgimento di artigiani per il trasporto dei materiali, la preparazione dell’intonaco e l’approntamento dei pigmenti.
Gli affreschi di Masaccio nella Cappella Brancacci (e a Santa Maria Novella) possono essere considerati tra le opere che, per innovazione plastica e prospettica, hanno dato l'impulso iniziale all'intero Rinascimento e la loro presenza a Firenze è stata meta di pellegrinaggio e studio da parte di ogni artista che sia venuto in seguito.

Michelangelo nella volta della Cappella Sistina (Roma, 1508–1512)
Probabilmente l’esempio più celebre e monumentale di affresco nella storia dell’arte. Il contratto fu firmato con papa Giulio II nel 1508, e Michelangelo lavorò, appeso ai ponteggi, per quattro anni. Le difficoltà tecniche furono enormi: la volta curva, l’umidità, la stanchezza fisica. Michelangelo scrisse in un sonetto versi ironici su sé stesso per descrivere la posizione acrobatica e sofferente che dovette assumere per gran parte della durata del cantiere:
“a forza ‘l ventre appicca sotto ‘l mento. La barba al cielo, e la memoria sento in sullo scrigno, e ‘l petto fo d’arpia, e ‘l pennel sopra ‘l viso tuttavia mel fa, gocciando, un ricco pavimento. E’ lombi entrati mi son nella peccia, e fo del cul per contrapeso groppa, e ‘ passi senza gli occhi muovo invano. Dinanzi mi s’allunga la corteccia, e per piegarsi adietro si ragroppa, e tendomi com’arco sorïano....”
Il cantiere impiegò scalpellini, fornaci per la calce, fornitori di pigmenti pregiati (lapislazzuli per il blu oltremare), e aiutanti come Pietro Urbano e Jacopo del Tedesco. I costi furono ingenti: stime contemporanee parlano di circa 3.000 ducati (oltre mezzo milione di euro attuali), una cifra giustificata dalla difficoltà logistica e dall’altissima qualità dei materiali.
Qualche anno dopo Michelangelo, evidentemente non pago della prima impresa, affrescò anche un'altra siocchezzuola di parete nella stessa cappella.

VI. L’illusione della semplicità
L’affresco, per sua natura, si fonde con l’architettura: non è un quadro appeso, ma parte strutturale dello spazio sacro. Ciò contribuisce a renderlo "invisibile" allo spettatore moderno. Il visitatore medio, entrando in una chiesa romanica o rinascimentale italiana, spesso non coglie la complessità tecnica, la progettualità e il virtuosismo pittorico che soggiacciono all’apparente naturalezza delle scene.
Questa “trasparenza tecnica” è paradossalmente il frutto di una perizia tanto elevata da rendere il difficile accessibile all’occhio. L’affresco non urla la sua presenza, non è tela che cerca attenzione: è silenziosa incarnazione della parete. Il dominio italiano sull’arte dell’affresco fu quasi esclusivo per secoli. La peculiarità dei cantieri artistici italiani, l’organizzazione delle botteghe, la committenza ecclesiastica e civile, la qualità dei materiali (la calce, la sabbia, i pigmenti) e il clima favorevole al processo di carbonatazione, crearono un contesto unico che difficilmente trovò eguali nel resto d’Europa. Il prodigio di una parete affrescata è un altro degli spettacoli che rendono unico il patrimonio artistico italiano.
VII. La conservazione degli affreschi
Come detto, il procedimento di carbonatazione rende la pittura a fresco virtualmente eterna, facendo della pittura un tutt'uno con l'opera edile. Questa durevolezza dell'affresco non deve essere interpretata tuttavia in senso assoluto. Se è vero che l'affresco è una tecnica che rende la pittura particolarmente persistente, gli affreschi sono comunque opere delicate che richiedono cure estreme per garantirne la sopravvivenza nei secoli; ciò può essere dovuto all'azione degli elementi o alle tecniche utilizzate per la realizzazione delle opere; è nota ad esempio la fragilità degli affreschi di Leonardo, che un po' per la propria proverbiale pigrizia, che lo rendeva particolarmente inadatto alla realizzazione di una tecnica che richiede rapidità di esecuzione, un po' per la sua attitudine alla continua sperimentazione di tecniche innovative, ha realizzato affreschi particolarmente fragili (la Battaglia di Anghiari a Palazzo Vecchio è purtroppo andata perduta, mentre il Cenacolo è oggi quasi la sinopia di quella che doveva essere l'opera originale); altri affreschi, non potendo essere rimossi e posti al sicuro hanno dovuto soccombere sotto i bombardamenti, come gli affreschi di Mantegna nella Cappella Ovetari di Padova; altri, meno drammaticamente, hanno subito il deposito della polvere nel corso dei secoli, in particolare quelli realizzati a partire dalla seconda metà del '400 quando, per ridurre i riflessi sulle superfici troppo lucide, si cominciarono a realizzare intonaci più granulosi.
La conservazione degli affreschi rappresenta una delle sfide più complesse nel campo del restauro artistico, a causa della loro natura intrinseca di opere inseparabili dal supporto architettonico. A differenza della pittura su tela o tavola, l’affresco è legato in modo indissolubile alla muratura, il che lo espone non solo ai normali processi di degrado chimico e fisico dei pigmenti, ma anche al deterioramento strutturale dell’edificio che lo ospita. Le cause principali di danneggiamento includono umidità ascendente, infiltrazioni meteoriche, movimenti strutturali, efflorescenze saline, agenti biologici (come muffe e batteri), oltre agli effetti dell’inquinamento atmosferico e delle polveri sottili.

IX. Conclusione
L’affresco è molto più che una tecnica pittorica: è un sistema complesso, una liturgia artistica che unisce chimica, fisica, architettura, pittura e organizzazione del lavoro. La sua presenza diffusa nel paesaggio artistico italiano non dovrebbe indurre a una sottovalutazione della sua straordinaria difficoltà. Studiare, preservare, valorizzare e ammirare gli affreschi è un dovere critico, etico culturale e filologico.
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