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Cosa fare a Nara (Giappone): il Tempio di Tōdaiji

  • Immagine del redattore: The Introvert Traveler
    The Introvert Traveler
  • 12 nov
  • Tempo di lettura: 5 min

Tempio Tōdai­ji Nara


Ultima visita: dicembre 2023

Durata della visita: 30 minuti

Mio giudizio: 8/10


Visitando Nara, oltre a cervi sacri, mochi e tonno crudo c'è una tappa che è pressoché imprescindibile: il tempio di Tōdaiji, uno dei monumenti più straordinari del patrimonio culturale e spirituale del paese. Questo sito non è solo un capolavoro architettonico, ma anche un simbolo del potere imperiale e della diffusione del buddhismo in Giappone.

Poi, diciamocelo, a Nara ci andate per farvi il selfie con i cervi, e il Tōdaiji è esattamente lì.


1. Origini e contesto storico del tempio Tōdai­ji a Nara (Giappone)

Il Tōdai­ji ha origini che affondano nel periodo Nara (710‑794), epoca in cui la città di Nara era capitale del Giappone. A partire dal 710, infatti, Nara divenne la prima capitale stabile del Giappone (fino a quel momento la sede della capitale variava alla morte di ogni imperatore. La dinastia regnante volle introdurre dalla Cina la dottrina del buddhismo come religione di Stato. Il tempio di Tōdaiji fu costruito proprio per accentrare la funzione religiosa in questo luogo. Le prime fasi del tempio si ritrovano nel 728, con la costruzione del tempio Kinshō‑ji, destinato ad ospitare le preghiere per lo spirito del principe Motoi, figlio dell’imperatore Shōmu. Nel 741, l’imperatore Shōmu emanò un editto per la creazione di un sistema nazionale di templi provinciali e elevò Kinshō‑ji al rango di vertice di quel sistema nella provincia di Yamato.

Nel 743 l'Imperatore decise la creazione di una grande immagine del Buddha, il Daibutsu di Vairocana, e la costruzione del tempio vero e proprio fu completata nel 752 con la cerimonia di apertura dell’occhio (kaigen) del Buddha.

Per molti decenni, Tōdai­ji non fu solo un luogo di culto: divenne un centro politico‑religioso e fu il più grande e potente monastero del Giappone durante il periodo Nara.

In seguito, a causa delle trasformazioni politiche e del declino della corte di Nara, l’influenza del tempio oscillò, ma restò comunque uno dei poli più rilevanti del buddhismo giapponese.

La fondazione del Tōdai­ji va vista come parte integrante della politica statale dell’imperatore Shōmu: egli intendeva utilizzare il buddhismo come strumento per rafforzare l’unità nazionale, la protezione del Paese e il prestigio imperiale. La mobilitazione enorme di risorse (metalli, legname, manodopera) segna il progetto come una delle più ambiziose opere dello Stato‑antico giapponese. La funzione quindi non è semplicemente religiosa, ma politico‑spirituale: un tempio che incarnava il modello cinese dei grandi monasteri protettori dello Stato.


Tempio Tōdai­ji Nara

2. Aspetti architettonici

L’architettura del Tōdai­ji rappresenta uno degli esempi più significativi dell’ingegneria templare in Giappone, con un’evoluzione che riflette distruzioni, ricostruzioni e influenze esterne.

L’impianto originale del complesso era vastissimo, circa 2 miglia quadrate (≈ 5 km²). Lo stile si ispira inizialmente alla Cina Tang: monumentalità, colonnati imponenti, simmetria, tetti ampi. L’evoluzione architettonica (in particolare dopo il 1180, data di una delle prime ricostruzioni del tempio) vide l’adozione di tecniche più robuste (basamenti, travi incastrate) e uno stile più giapponizzato pur con radici cinesi.

Il Tōdai­ji che appare oggi agli occhi del visitatore non è (direi abbastanza ovviamente) quello che fu originariamente costruito nell'ottavo secolo, ma il frutto di numerose ristrutturazioni anche recenti; la maggior parte degli edifici oggi in essere risalgono al XVIII secolo, quando il complesso giunse al proprio assetto definitivo dopo numerose distruzioni succedutisi nel corso dei secoli. Il Tōdaiji è tuttora una delle più grandi architetture lignee al mondo.

Dovendolo suddividere in sezioni ideali si può distinguere in:


Portale Nandaimon Tempio Tōdai­ji Nara

Portale Sud – Nandaimon

Il primo edificio che appare accedendo al tempio è il portale sud, o Nandaimon; fu ricostruito alla fine del XII secolo secondo uno stile influenzato dall’architettura cinese Song.

Il portale in legno è estremamente imponente, suggestivo e sacrale; al sue interno sono custodite le due statue Niō (guardiani), realizzate nel 1203 da Unkei e Kaikei, due grandi scultori dell'epoca; purtroppo in occasione della mia visita le due statue non erano visibili (presumo a causa di qualche restauro) ed è un peccato perché si tratta di importanti capolavori dell'arte giapponese; alte oltre 8 metri e realizzate in più blocchi cavi (in modo da alleggerirne il peso) di cipresso hinoki, poi assemblate sul posto, sono tra le opere di maggiore virtuosismo dell'arte antica nipponica.



Edificio principale – Daibutsuden

Il Daibutsuden ospita il Grande Buddha (Daibutsu). L’edificio attuale risale al 1709, dopo vari rifacimenti. Le dimensioni attuali sono: circa 57 m di lunghezza, 50 m di larghezza e 48‑49 m di altezza, tuttavia, all’epoca della costruzione originale la sala era molto più ampia: la ricostruzione ridusse il numero di «baie» (intervalli tra colonne) da 11 a 7 in larghezza. La struttura attuale incorpora rinforzi moderni (acciaio, cemento) nelle grandi restaurazioni del XX secolo.


Il Daibutsu è un'opera sbalorditiva. L'opera fu completata nel 752 e inaugurata con la "cerimonia dell'apertura dell'occhio". La cerimonia di apertura dell'occhio è un rituale solenne e simbolico nel buddhismo giapponese (e in altre tradizioni buddhiste dell’Asia orientale) che segna la “vitalizzazione” di una nuova immagine sacra. Il rituale non serve solo a “inaugurare” un’opera d’arte, ma a trasformarla in un oggetto di culto vivente. Attraverso preghiere, canti e gesti rituali, si ritiene che gli “occhi spirituali” della statua vengano “aperti”, permettendole di esercitare il suo potere benefico e salvifico. La cerimonia di apertura dell'occhio del Daibutsu è una delle più documentate e grandiose della storia giapponese: vi parteciparono circa 10.000 monaci, furono presenti diplomatici, artisti e religiosi stranieri, inclusi dignitari provenienti dalla Cina, dall’India e dalla Corea. L’opera originale fu fusa in bronzo utilizzando circa 500 tonnellate di rame e 130 kg d’oro. Il processo fu complesso: la statua fu realizzata in più sezioni fuse separatamente, poi unite e rifinite con doratura a foglia d’oro (kinpaku). Il Daibutsu misura circa 15 metri di altezza (senza il piedistallo), con un volto di 5 metri e mani aperte di oltre 2,5 metri ciascuna. È seduto in posizione di lotus, con la mano destra alzata nel gesto della protezione e la sinistra abbassata in quello della generosità. Il volto, sereno e distaccato, riflette l’ideale estetico della calma trascendente propria della scuola Kegon. Le fattezze sono imponenti ma equilibrate: l’anatomia monumentale è mitigata da una morbida plasticità nei lineamenti e da una proporzione armoniosa che conferisce alla statua un senso di solennità senza pesantezza. Come nel caso del Tōdai­ji anche la statua del Daibutsu come la vediamo oggi è il frutto di numerosi restauri accaduti nel corso dei secoli, ma il nucleo principale è comunque quello originario; le mani e la testa sono il frutto di rifacimenti del periodo Edo.



Ai lati del tempio si trovano altre due statue lignee colossali, che raffigurano Tamonten e Komokuten, due dei quattro "Re celesti". Ho fatto molta fatica a trovare informazioni su queste opere, abbastanza sorpredenti; tutto quello che sono riuscito a trovare è che misurerebbero circa 5 metri di altezza e sarebbero databili al periodo Edo. In ogni caso sono tra le opere di scultura più sorprendenti che abbia visto in Giappone.




Il ruolo del Tōdai­ji non è esclusivamente estetico o storico, ma profondamente radicato nella cultura religiosa giapponese. La presenza massiva del Buddha, la funzione educativa e l’integrazione con il potere imperiale lo rendono un luogo dove spiritualità, arte e Stato si intersecano. Le proporzioni delle statue e del tempio stesso stupiscono il turista occidentale, tendenzianlmente non abituato a vedere architetture lignee di tali proporzioni, ma i visitatori sono soprattutto giapponesi, evidentemente attratti dalla vocazione religiosa.



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