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Immagine del redattoreThe Introvert Traveler

Due immersioni a Hurghada

Aggiornamento: 27 set

Il sole, implacabile sentinella del deserto, già faceva capolino sull'orizzonte quando ci svegliammo nel nostro albergo di Hurghada; già un alone di calore avvolgeva la città, come se l'aria stessa avesse deciso di addormentarsi durante la notte e si stesse risvegliando, pronta a riversare la canicola sulla stanca popolazione della cittadina orientale. Ci alzammo lentamente, sentendo ogni muscolo indolenzito dal viaggio del giorno prima e, aprendo la finestra, il mondo esterno mi invase i sensi: il canto lontano del muezzin, il profumo pungente delle spezie che aleggiava nell'aria, e il chiacchiericcio degli abitanti già in piedi a inseguire la sopravvivenza.


Il cielo era di un azzurro accecante, senza una nuvola a mitigare la furia del sole. Le strade di Hurghada erano polverose e gremite, un formicaio di vita brulicante. Bambini scalzi correvano tra le bancarelle, ridendo e giocando con un'energia che sembrava sfidare la povertà circostante. Donne velate, con sguardi fieri e riservati, si muovevano con agilità tra i mercati, contrattando con destrezza ogni acquisto.


Il nostro primo contatto con la popolazione locale fu un dispiego di ospitalità, generosità e curiosa organizzazione verticale del lavoro. La nostra giornata, infatti, prevedeva un primo cauto incontro con il Mar Rosso nelle acque relativamente protette antistanti Hurghada; quando non ci si immerge da un po' di tempo, oppure quando ci si immerge in una località ignota e in condizioni sconosciute, è una comune procedura di sicurezza fare un'immersione di test per verificare la correttezza della zavorra, la condizione dell'attrezzatura e per rinfrescare le procedure. Per fare questo avevamo deciso di affidarci a Steve, un inglese stabilitosi a Hurghada per gestire un locale centro di immersioni. Steve si era gentilmente reso disponibile a prelevarci presso l'albero alle 7 di mattina per portarci all'approdo della sua barca. Mancando un quarto d'ora alle 7, avevamo pensato di chiedere al personale dell'albergo di prepararci un caffè, confidando che la richiesta non fosse troppo esigente, considerati i tempi e la complessità dell'incarico. L'intero personale in servizio si animò, con evidenti trasporto e generosità. In 4 si misero a lavorare sulla macchinetta dal caffè, rassicurandoci di minuto in minuto sul fatto che la nostra corroborante bevanda sarebbe stata pronta in tempo per raggiungere Steve, che ci stava aspettando fuori dall'albergo. Tuttavia il cronoprogramma dell'appalto si rivelò troppo impegnativo per le maestranze locali, che solo dopo 20 minuti riuscirano a produrre una bevanda calda. Nel frattempo, quindi, decisi di uscire per conoscere Steve a rassicurarlo, desumendo che le sue origini britanniche lo portassero ad avere una differente considerazione del tempo e dell'organizzazione di un'agenda rispetto ai locali. Ebbi così il piacere di conoscere questo maestoso pezzo di inglese, tanto imponente quanto gioviale; è la persona a cui si affiderebbe il ruolo di spalla nerboruta in un buddy movie di azione. Steve, informato delle impreviste complessità nella realizzazione dell'opera culinaria, roteò gli occhi al cielo e si dichiarò non sorpreso, prorompendo in una risata baritonale. Se da un lato, verbalmente, esprimeva il proprio distacco da una cultura così rilassata e inefficace, lui stesso nel linguaggio del corpo, trasmetteva il lnaguore di chi, dopo una vita trascorsa ad adeguarsi agli impegni e al logorio del lavoro di bodyguard per una grossa multinazionale, aveva trovato la propria serenità qui, dove poco importava se per la realizzazione di un caffè servivano 20 minuti di lavoro di 4 persone. Un suadente senso di oblio cominciava a conquistarmi e le scadenze e lo stress del lavoro sembravano già così lontane.

Quando il caffè, o quello che secondo l'interpretazione locale avrebbe dovuto essere tale, fu finalmente pronto, ci avviammo in direzione del nostro oggetto del desiderio: il Mar Rosso.

Il rapido tragitto attraverso la città confermò la prima immagine percepita la notte precedente: palazzi diroccati nel centro della città, colori arsi dalla sabbia e dal sole, profusione di forze dell'ordine armate fino ai denti e posti di blocco, un'infinità di insegne indecifrabili a promuovere i prodotti venduti da innumerevoli negozietti dalle vetrine sbiadite.


Steve ci accompagnò fino all'imbarco della sua barca da diving, un barcone un po' datato dove numerosi addetti egiziani già si stavano adoperando, con efficienza e solerzia ben diverse da quelle esibite da chi ci aveva preparato il caffè, per caricare tutto il necessario per servire il carico di subacquei che si apprestavano ad ospitare.



Se, infatti, l'Egitto non si era presentato con la sua immagine migliore di professionalità e progresso, almeno nel settore della ricettività, l'industria del diving è sicuramente un settore dove l'Egitto dà il meglio di sé.

Intendiamoci... né la barca di Steve né gli altri numerosi barconi da diving ormeggiati a fianco e pronti a partire davano l'impressione di essere nel pieno della propria gioventù; la ruggine che incrostava ogni giuntura visibile dava l'impressione che ciascuna di quelle barche potesse spezzarsi da un momento all'altro alla sollecitazione imprevista di un'onda un po' più intensa delle altre, e la vista di numerosi relitti sporgenti dalle acque lungo la costa non rassicurava più di quanto non desse l'impressione di una dinamica attività di recupero dei relitti stessi, ancor più arrugginiti e incrostati. Ma il personale di bordo e le guide marine davano a una prima occhiata l'impressione di fare da tempo quel lavoro e di saperlo fare bene; probabilmente era solo l'investimento in capitale fisso a lasciare un po' desiderare. Del resto non mi risulta che nessuna sura del Corano imponga l'immediata rimozione dei relitti dalla costa e un nuovo relitto significa un nuovo punto di immersione, quindi...



Restammo a lungo sul molo, in attesa dell'allestimento della barca, a osservare la superficie del mare sferzata da un vento teso e rovente, con l'animo mosso in tumulto da sentimenti contrastanti: l'emozione di vivere finalmente la meraviglia di un mare tropicale, con tutti i colori e il brulicare di vita che fino ad ora avevamo visto solo tramite immagini mediate e il timore di confrontarsi per la prima volta con immersioni impegnative, potenzialmente ben diverse da un'immersione a Cerboli o all'Argentario.

Poi venne il momento di mollare gli ormeggi e dopo una breve navigazione la neve attraccò sul reef di El Fanadir, assistemmo diligentemente al briefing e dopo una preparazione svolta meccanicamente e in preda all'emozione fu il momento di fare il passo del gigante e tuffarsi in quell'acqua dal blu intenso...



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