
Ultima visita: novembre 2024
Mio giudizio: DA VEDERE
Durata della visita: da 1 a 2 ore

Qui siamo nell'Olimpo della storia dell'arte, tra le opere immense e più stupefacenti prodotte nella storia dell'umanità. Roma è un infinito patrimonio di tesori, come probabilmente nessuna altra città al mondo, ma fra le opere che anche il visitatore che si fermi pochi giorni a Roma deve assolutamente vedere c'è questa: il Ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini. Un'opera in grado di rivaleggiare con i più grandi capolavori di Michelangelo o con il Laocoonte, per virtuosismo tecnico, potenza espressiva, sublime bellezza; una tra le opere più diffusamente riprodotte al mondo, in quel dettaglio stupefacente della mano di Plutone che affonda nelle soffici carni della ninfa, o nel dettaglio della lacrima che cola dal suo occhio.
Il Ratto di Proserpina si trova a Roma, in quell'incanto di museo che è la Galleria Borghese, insieme agli altri capolavori giovanili di Bernini, al ritratto di Paolina Borghese di Antonio Canova, a Caravaggio, e passare da Roma senza rendere omaggio a tanta meraviglia è un peccato capitale.

1. Introduzione al Ratto di Proserpina di Bernini: un’opera cardine della scultura barocca
Il Ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini, realizzato tra il 1621 e il 1622 e oggi conservato nella Galleria Borghese di Roma, rappresenta una delle più alte espressioni della scultura barocca e della scultura in generale, sia per il virtuosismo tecnico che per la potenza narrativa. Commissionata dal cardinale Scipione Borghese, l’opera fu successivamente donata nel 1623 al cardinale Ludovico Ludovisi, nipote di Papa Gregorio XV, probabilmente per consolidare rapporti di potere tra le due famiglie. Solo nel 1908, la scultura fu acquistata dallo Stato italiano e fece ritorno nella sua sede originaria, dopo un lungo periodo di dispersione.
Bernini, pur giovanissimo, dimostra in questa scultura una straordinaria padronanza della materia marmorea, creando un'opera che esalta i principi estetici del Barocco: il dinamismo, il pathos, la teatralità e la ricerca di una narrazione immediata e coinvolgente. Il suo genio non si manifesta solo nella capacità di rendere palpabile la tensione tra i personaggi, ma anche nella sua abilità di trasformare il marmo in un elemento vibrante e quasi organico, capace di simulare la morbidezza della pelle umana, l’elasticità della carne e il movimento fluido delle superfici.

2. Struttura compositiva e dinamismo barocco
L’opera raffigura il drammatico momento in cui Plutone, il dio degli Inferi, rapisce Proserpina, figlia della dea Cerere, per portarla nel suo regno sotterraneo. La composizione si sviluppa secondo una linea diagonale ascendente, un espediente che amplifica la sensazione di movimento e contrasta con la staticità delle rappresentazioni rinascimentali.
L’opera si distingue per un’impostazione elicoidale, che obbliga lo spettatore a girare attorno alla scultura per coglierne appieno la potenza espressiva. La rotazione del corpo di Proserpina, che si contorce nel vano tentativo di divincolarsi, e la forza con cui Plutone la trattiene creano un effetto di torsione plastica, accentuato dal gioco sapiente di luci e ombre che modellano le superfici.
Bernini riesce a trasformare un blocco di marmo in un racconto visivo, in cui ogni dettaglio partecipa alla costruzione di un pathos crescente. La mano di Plutone che affonda nella coscia di Proserpina rappresenta uno dei massimi esempi di illusionismo scultoreo della storia dell’arte: il marmo, trattato con una perizia straordinaria, sembra mutare consistenza, restituendo la sensazione tattile di una pelle cedevole sotto la pressione delle dita. Questo effetto illusionistico è amplificato dalla contrapposizione tra la tensione muscolare del dio e la delicatezza della carne della fanciulla, evocando un contrasto visivo ed emotivo che costituisce il cuore dell’opera.


3. Tecnica esecutiva e illusione materica
Uno degli aspetti più rivoluzionari del Ratto di Proserpina (opera realizzata in poco più di un anno, tra il 19 giugno 1621 e l'estate del 1622) risiede nella raffinata resa delle superfici. Bernini sviluppa un linguaggio scultoreo che supera il naturalismo rinascimentale per approdare a una concezione più dinamica e vibrante della materia. La levigatura del marmo raggiunge qui un livello di eccellenza senza precedenti: la trasparenza della pelle, il riflesso della luce sulle superfici lisce, il contrasto tra le zone lucide e quelle più scabre (come la barba di Plutone o la pelliccia di Cerbero) contribuiscono a un effetto illusionistico che cattura lo sguardo dello spettatore e ne sollecita una risposta sensoriale diretta.
Un altro elemento distintivo dell’opera è la presenza di Cerbero, il mostruoso cane a tre teste posto ai piedi di Plutone. Questa figura, oltre a rafforzare la caratterizzazione infernale del dio, funge da elemento di equilibrio nella composizione, bilanciando la diagonale ascendente con una solida base visiva. Il trattamento scultoreo del cane rispecchia la stessa attenzione al dettaglio che caratterizza l’intera opera: le teste si dispongono in una configurazione che suggerisce ulteriore movimento, mentre il trattamento della pelliccia e delle fauci aperte accresce la drammaticità della scena.
Contemplando quest'opera vengono i brividi pensando al giovane Bernini, poco più che un ragazzo ma già pienamente padrone del suo incontenibile talento, avventarsi con i suoi strumenti sul marmo, dandovi forma a poco a poco in continue espressioni di virtuosismo, dalla barba del dio realizzata con diffuso uso del trapano, alla gradina il cui uso è evidente nella villosità di Cerbero.
Il virtuosismo di Bernini, che già qui riesce nel proprio proposito di superare l'insuperabile Michelangelo, quanto meno nel puro virtuosismo, non si esprime solo negli aspetti più palesi, come il più evidente, strabiliante dettaglio della mano di Plutone che affonda nelle carni di Prosperpina, creando forme espressive in precedenza sconosciute alla materia del marmo, ma anche in dettagli meno evidenti come la sporgenza nel vuoto del braccio di Proserpina; tale espediente fu non solo innovativo dal punto di vista della resa spaziale (anche perché comportava un ingente spreco di preziosissimo materiale), ma richiedeva anche un pieno controllo della materia da parte dell'artista, che ha saputo spingersi fino ai limiti di tenuta strutturale della pietra, dimostrando di padroneggiarla in modo assoluto.

4. Interpretazione mitologica e allegorica
Il mito di Proserpina, narrato nelle Metamorfosi di Ovidio, assume nel capolavoro berniniano una valenza fortemente drammatica. La leggenda della fanciulla rapita e trascinata negli Inferi da Plutone è stata spesso interpretata come una metafora della ciclicità della vita e della natura: Proserpina, costretta a vivere sei mesi all’anno nel regno dei morti, simboleggia l’alternarsi delle stagioni, il passaggio dall’inverno alla primavera.
Oltre alla lettura mitologica, l’opera può essere interpretata alla luce delle teorie estetiche barocche, che enfatizzano il contrasto tra passione e costrizione, desiderio e rifiuto, movimento e immobilità. Bernini non si limita a rappresentare un episodio mitologico, ma ne coglie l’essenza drammatica, portando lo spettatore a identificarsi con la sofferenza e la lotta di Proserpina. La teatralità dell’insieme è esaltata dalle espressioni dei volti: la disperazione della fanciulla si oppone alla determinazione implacabile di Plutone, creando un dialogo silenzioso ma carico di tensione emotiva.
In un periodo storico in cui artisti come Lanfranco, i Carracci e Rubens stanno rivoluzionando il linguaggio espressivo dell'arte, superando i canoni imposti prima dal Rinascimento e poi dal manierismo, Bernini si impone sintetizzando l'estetica dei pittori contemporanei e realizzando opere di inarrivabile eros e pathos.

5. Il confronto con la tradizione classica e rinascimentale
Bernini si confronta con la statuaria antica, ma se ne distacca per la sua capacità di animare la pietra, infondendole un dinamismo che supera la compostezza della scultura ellenistica. Un paragone spesso citato è quello con il Laocoonte, capolavoro del I secolo a.C., che condivide con il Ratto di Proserpina l’elemento della torsione e dell’espressività esasperata. Tuttavia, mentre il gruppo del Laocoonte si attiene a una teatralità contenuta, Bernini accentua il coinvolgimento dello spettatore attraverso un linguaggio più sensuale e immediato.
Anche rispetto alla scultura michelangiolesca, Bernini introduce una concezione più fluida della forma: se Michelangelo esaltava la monumentalità e la potenza fisica delle sue figure, Bernini privilegia la narrazione e il pathos, trasformando la scultura in un’esperienza visiva che sembra superare i limiti della materia.
Non sono ovviamente mancate anche nel Rinascimento, in particolare nelle rappresentazioni mitologiche, opere che coniugassero pathos e sensualità con effetti straordinari (il mio pensiero corre ad esempio al Giove e Io di Correggio che ho già commentato), ma Bernini con quest'opera eleva tutti i livelli espressivi a vette mai raggiunte prima; ciò che trovo sensazionale in quest'opera è il naturalismo dei gesti, che è talmente efficace e mimetico da indurre una piena sospensione dell'incredulità; di fronte al Ratto di Proserpina si cessa di pensare che quello che si ha di fronte sia freddo marmo e si partecipa emotivamente ed empaticamente alla scena; il modo in cui la ninfa getta il capo all'indietro cercando di sottrarsi all'assalitore, il gesto del palmo della sua mano che tenta di premere sul volto di Plutone, che a sua volta ritrae il volto facendo scivolare il palmo della mano; la tensione virile che pulsa dai muscoli del Dio; stiamo vivendo in prima persona un assalto a cui è impossibile restare indifferenti.
A contribuire ulteriormente alla spettacolarità della rappresentazione è la ricchezza della sala, un tripudio di grottesche raffaellesche, intarsi di marmi policromi, lesene marmoree, busti romani, metope anticheggianti da far sussultare ogni appassionato d'arte nella più classica delle esibizioni di ricchezza della città eterna.

Il Ratto di Proserpina non è semplicemente un’opera d’arte, ma una sintesi perfetta dei principi del Barocco, una vetta della produzione e dell'intelletto umano, un prodigio inarrivabile. Con la sua capacità di esprimere tensione e movimento, con il suo incredibile illusionismo materico e la sua potenza espressiva, l’opera rimane un punto di riferimento assoluto nella storia della scultura. Bernini, con questa creazione giovanile, non solo dimostra un talento precoce ma definisce un nuovo canone estetico, destinato a influenzare la scultura occidentale per secoli a venire e a stabilire un parametro insuperato e insuperabile.
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