Le Cappelle Medicee di Michelangelo nella Sacrestia Nuova: Un Capolavoro di Pietra e Genio
- The Introvert Traveler
- 14 feb
- Tempo di lettura: 11 min

Ultima visita: febbraio 2025
Mio giudizio: DA VEDERE
Orari: tutti i giorni dalle 8.15 alle 18.50, escluso il martedì
Durata della visita: da mezz'ora a due ore
Introduzione: La Genesi di un Capolavoro
La Sacrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo a Firenze rappresenta una delle vette assolute della scultura, dell'architettura rinascimentale e dell'arte in generale, un manifesto della potenza plastica e dell'ingegno senza limiti di Michelangelo Buonarroti.
A mio personale giudizio, le tombe medicee sono la più straordinaria opera d'arte di tutti i tempi.
Commissionata dal cardinale Giulio de’ Medici (futuro papa Clemente VII) nel 1520 per accogliere le sepolture di due membri della famiglia Medici, Lorenzo duca d'Urbino e Giuliano duca di Nemours; questi erano due esponenti del ramo cadetto della famiglia Medici discendente da Lorenzo il Magnifico; furono esponenti secondari della famiglia rispetto a Cosimo I, cugino di Lorenzo duca d'Urbino e figlio di Giovanni dalle Bande Nere, che a metà del 1500 portò la famiglia al momento di massimo potere; sia Lorenzo che Giuliano sarebbero oggi probabilmente destinati a un relativo oblio, se non fosse stato dedicato loro un monumento di tale rilievo artistico.
La cappella si sarebbe dovuta configurare come un ambiente sacro ma anche politico, celebrando il prestigio della dinastia, ma Michelangelo, con il suo estro senza freni, travalicò ogni aspettativa, creando un’opera che trascende la celebrazione dinastica per divenire una riflessione sull’umana condizione.

L'attribuzione a Michelangelo della commessa per la realizzazione del monumento avviene nel momento di massimo fulgore della carriera di Michelangelo; nel 1520 Michelangelo aveva già realizzato le sensazionali opere giovanili della Pietà Vaticana e del David, che l'avevano immediatamente qualificato come un astro nel mondo della scultura; la tomba di Giulio II era ancora nel corso della sua travagliata realizzazione, ma era già stato ultimato il Mosè; la volta della Cappella Sistina era stata ultimata da 8 anni. Proprio al termine dell'ultimazione della volta della Cappella Sistina, Michelangelo fu coinvolto per la realizzazione della facciata della Basilica di San Lorenzo, progetto che tuttavia non fu mai realizzato; ma 7 anni dopo, Leone X si rivolse nuovamente a Michelangelo per mettere mano ancora una volta alla basilica per la realizzazione della Sagrestia Nuova.
San Lorenzo è adiacente a palazzo Medici e già ospitava i sepolcri di Cosimo il Vecchio e di altri componenti della famiglia; la Sagrestia Nuova fu così concepita per ampliare quella che era percepita ufficiosamente come la basilica della famiglia Medici, realizzando il nuovo monumento ai due membri cadetti deceduti prematuramente.
L’ambizioso progetto di Michelangelo subì numerosi rallentamenti a causa di eventi politici, tra cui l'assedio di Firenze (1529-1530) e il conseguente esilio dell’artista. Nonostante ciò, egli riuscì a portare avanti il lavoro tra il 1520 e il 1534, lasciando tuttavia l’opera incompleta alla sua partenza per Roma. L’intento originario prevedeva un complesso scultoreo ancor più ampio, con una disposizione monumentale ancor più imponente, ma ciò che ci resta è comunque un capolavoro che ridefinisce la scultura funeraria del Rinascimento, oltre a essere il progetto michelangiolesco giunto al maggior stadio di completamento.


L’Architettura: Uno Spazio Sublime
L’architettura della Sacrestia Nuova è un trionfo di equilibrio e dinamismo. Michelangelo, che qui si cimenta da solo nella progettazione dello spazio, costruisce una struttura che pare animata da un’energia ascensionale inarrestabile. Le pareti, scandite da lesene e nicchie, sembrano vibrare sotto l’impulso di una forza invisibile, mentre la cupola sovrasta la scena con un’aura di sacralità incommensurabile. Il marmo, nella sua rigida perfezione, viene piegato alla volontà dell’artista, divenendo materia viva. L’articolazione dello spazio, la distribuzione della luce, la tensione delle superfici non sono elementi puramente decorativi ma parte di un discorso più ampio che fonde architettura e scultura in un’unità inscindibile.
La Sagrestia nuova è un'opera unica al mondo per la fusione e l'integrazione tra l'arte architettonica e quella scultorea, che qui si integrano senza soluzione di continuità in un'unica opera plastica concepita da un'unica mente e realizzata da un'unica mano.
L’impianto architettonico della Sacrestia Nuova è profondamente radicato nella tradizione rinascimentale, che Michelangelo eredita e supera. L’influenza di Vitruvio, la cui opera "De Architectura" forniva le basi teoriche per l’architettura classica, è evidente nella ricerca dell’armonia proporzionale e nella concezione spaziale dell’ambiente. Ma Michelangelo si muove oltre la razionalità vitruviana, infondendo alla sua architettura un pathos che la rende vibrante e quasi organica.

L’evoluzione dell’architettura rinascimentale, iniziata da Filippo Brunelleschi con la sua riscoperta della prospettiva e della modularità geometrica, trova in Michelangelo un erede e un innovatore. La stessa Basilica di San Lorenzo porta la firma di Brunelleschi, il quale aveva concepito la Sagrestia Vecchia come un modello di armonia classica. Michelangelo riprende questi principi, ma li destruttura attraverso una maggiore plasticità delle superfici e un’intensa drammaticità volumetrica. Anche l’eredità di Leon Battista Alberti è evidente: la sua teoria sulla "bellezza come armonia delle proporzioni" si manifesta nel rigore geometrico della cappella, ma Michelangelo introduce una tensione dinamica che rompe la perfetta staticità dell’ordine classico.
Questa tensione anticipa gli sviluppi manieristi e barocchi, rendendo Michelangelo non solo un prosecutore, ma un vero innovatore dell’architettura occidentale. La sua influenza si estenderà fino a Roma, dove rivoluzionerà la concezione dello spazio sacro con la Basilica di San Pietro e la Piazza del Campidoglio. La Sacrestia Nuova rappresenta quindi un punto di svolta: un’opera che fonde tradizione e modernità, razionalità e passione, imponendo Michelangelo come una delle figure centrali dell’architettura rinascimentale.
Le Statue Funerarie: La Vita nel Marmo
Al centro del progetto stanno i monumenti funebri dei due duchi Medici, sormontati dalle allegorie delle fasi del giorno: il Giorno e la Notte per Giuliano de’ Medici, l’Aurora e il Crepuscolo per Lorenzo de’ Medici. Ogni scultura è un universo a sé, carico di pathos, potenza plastica e significati simbolici che vanno oltre la semplice rappresentazione del tempo.

Lorenzo e Giuliano de’ Medici: Effigi della Regalità Immortale
Le statue di Lorenzo e Giuliano de’ Medici sovrastano le allegorie delle fasi del giorno, non come semplici ritratti, ma come immagini idealizzate di potere e riflessione. Lorenzo, il "Pensieroso", è avvolto in una posa meditativa, il capo leggermente chinato, la mano sul volto, in un atteggiamento che richiama le raffigurazioni di filosofi antichi. La sua armatura, sebbene scolpita con precisione, non sembra il vero fulcro dell'opera: il suo volto ombroso e introspettivo suggerisce che la grandezza non si esprime solo con la forza, ma anche con la profondità del pensiero.
Giuliano, al contrario, è raffigurato con un portamento marziale, un comandante eterno, fiero e pronto all’azione. La sua postura eretta, la corazza perfettamente modellata sul suo corpo, lo rendono una figura statica ma potente. È un’immagine della virtù attiva, della potenza che non si piega, contrapposta alla riflessione di Lorenzo. Questa dualità tra pensiero e azione, tra contemplazione e potere, è uno dei fulcri concettuali dell’intero monumento.
Le due statue, composte in una posa da seduti che richiama il precedente di Mosè a San Pietro in Vincoli, evocano i canoni estetici della bellezza classica e sono un pezzo di bravura di Michelangelo nella resa dei soggetti e nella rappresentazione del corpo umano e in particolare del corpo maschile; dal collo esteso di Giuliano, che richiama alla memoria la Madonna dal Collo Lungo di Parmigianino, alle frange in cuoi delle loriche, dalle ciocche di capelli, alle grottesche che decorano l'armatura di Giuliano, alla mimesi anatomica della torsione del braccio di Lorenzo, qui Michelangelo esibisce al contempo la sua padronanza assoluta della tecnica in una misura mai vista fino a quel tempo, che dovrà attendere Bernini per essere eguagliata, e un'inventiva artistica senza pari nella rappresentazione del bello; i due eroi son un vero e proprio banchetto per gli occhi che lascia incantati gli ammiratori dell'autore del David, che qui si ripete agli stessi vertici.
Il Giorno: Una Forza Indomita
Il Giorno è la personificazione dell'energia in divenire, del vigore allo stato puro. Il corpo è possente, virile, colto nell'attimo della massima tensione muscolare, quasi Michelangelo avesse scolpito la vita stessa nel marmo. La torsione del busto, l’irrequietezza latente dei muscoli, il viso non completamente definito suggeriscono un'energia trattenuta, una forza che potrebbe sprigionarsi da un momento all’altro. Quest'incompiutezza è una scelta consapevole dell'artista, che rafforza l'idea di un'umanità in perenne divenire, intrappolata nel flusso del tempo.
Il Giorno è un'opera piena di citazioni autoreferenziali che gli amanti dell'arte di Michelangelo non potranno non cogliere: la torsione del busto è uno schema estetico ricorrente nell'arte di Michelangelo, dal Gesù bambino della Madonna della Scala alla Sibilla Libica della Sistina, ma nel giorno si colgono anche altri modelli che notoriamente hanno influenzato Michelangelo, dal Torso Belvedere, al Laocoonte, all'Ercole Farnese.
Il volto, lasciato quasi allo stato grezzo, è quantomai enigmatico ed evocativo; contemplando l'opera viene da chiedersi quale potrà essere stata la reazione dei primi osservatori nel '500 di fronte a un'opera così innovativa da anticipare di secoli la scultura del XX secolo, da Brancusi a Rodin a Modigliani. Le orbite appena abbozzate rendono tuttavia uno sguardo severo e tenebroso e il volto nel complesso sembra quasi somigliare a quello di un rapace notturno, animale che peraltro accompagna l'adiacente figura della Notte.

La Notte: La Bellezza dell’Abbandono
Se il Giorno è pura energia, la Notte è la quintessenza della dolcezza malinconica. La sua posizione languida, il volto reclinato, il corpo che sembra sciogliersi nel sonno evocano una sensualità straordinaria. Il seno pieno, il panneggio soffice, il piede che si abbandona dolcemente sono dettagli che trasmettono una poesia visiva di insostenibile bellezza. La maschera sotto la sua figura accentua il senso del mistero: è un’allusione al sonno che si confonde con la morte, un elemento che introduce una riflessione esistenziale profonda.

L’Aurora: Il Risveglio dell’Anima
L’Aurora è una visione di rara tensione emotiva. La figura si solleva a fatica, come se il peso del sonno fosse ancora avvolgente. Il corpo è in torsione, il viso emerge con un’espressione sospesa tra la fatica e la consapevolezza, come se la coscienza si stesse lentamente accendendo. L'Aurora simboleggia il passaggio dalla notte al giorno, dal torpore alla vitalità. Il suo volto è carico di malinconia, come se il risveglio fosse anche una presa di coscienza dolorosa, la realizzazione di un destino ineluttabile.

Il Crepuscolo: La Riflessione sulla Fine
Il Crepuscolo è l'immagine della stanchezza, del declino, ma anche della maturità raggiunta. Il corpo possente ma rilassato, il volto rivolto verso il basso, il panneggio che si adagia con un senso di finale raccoglimento parlano del trascorrere inesorabile del tempo. Il Crepuscolo, con la sua posa abbandonata e lo sguardo rivolto nel vuoto, suggerisce un’inevitabile accettazione della fine.

Il Non Finito Michelangiolesco: Una Visione Rivoluzionaria
Il concetto di "non finito" nelle opere di Michelangelo ha generato interpretazioni contrastanti già ai suoi tempi. Spesso attribuito alla sua cronica difficoltà nel rispettare le scadenze imposte dai committenti, il non finito si rivela, in realtà, una scelta espressiva consapevole e innovativa. Michelangelo, più che soffermarsi sulla perfezione levigata della superficie, preferisce lasciare le sue figure in una condizione di emergenza dalla materia grezza, come se stessero ancora lottando per liberarsi dal marmo che le trattiene. Questa tensione drammatica, esaltata dalla parzialità dell’esecuzione, infonde una straordinaria vitalità alle forme, rendendole eterne proprio nella loro incompletezza.

I contemporanei di Michelangelo ebbero giudizi ambivalenti su questa tecnica. Giorgio Vasari, suo fervente ammiratore, interpretò il non finito come la dimostrazione del concetto neoplatonico di creazione: la bellezza perfetta esiste nell’idea dell’artista, e qualsiasi realizzazione materiale non potrà mai raggiungerla pienamente.
Riguardo alle Cappelle Medicee l'intenzionalità del "non finito" è tuttoggi oggetto di dibattito. Ascanio Condivi, il biografo più vicino al Buonarroti, riferisce: «in pochi mesi fece tutte quelle statue che nella Sagrestia di San Lorenzo si veggiono, spinto più dalla paura che dall’amore. È vero che nessuna di queste ha auta l’ultima mano; però son condotte a tal grado, che molto bene si può veder l’eccellenza dell’artefice, né il bozzo impedisce la perfezione e la bellezza dell’opera ... E avenga che di tutte fusse una intenzione e una forma, nondimeno le figure sono tutte differenti e ’n diversi moti e atti»; parrebbe quindi che le opere come le vediamo oggi fossero ultimate, nelle intenzioni di Michelangelo, mancando solo le finiture. In un'altra precedente lettera dello stesso Michelangelo, datata 17 giugno 1526, l'artista scrive al Papa Clemente VII, nel frattempo succeduto a Leone X "Io lavoro al più che io posso, e in fra quindici dì farò cominciare l'altro capitano, poi mi resterà, di cose d'importanza, solo e' quattro Fiumi. Le quattro figure in su' cassoni, le quattro figure in terra, che sono è Fiumi, e due capitani e la Nostra Donna che va nella sepoltura di testa, sono le figure che io vorrei fare di mia mano: e di queste n'è incominciate sei, e bastami l'animo di farle in tempo conveniente e parte far ancora l'altre che non importano tanto"; dunque, oltre alle opere effettivamente realizzate che possiamo ammirare oggi, Michelangelo intendeva realizzare di proprio pugno altre quattro statue di divinità fluviali, che non furono mai realizzate, lasciando alla propria bottega la realizzazione di parti che riteneva di minore importanza.

E' noto che i ritratti di Lorenzo e Giuliano furono realizzati tra il 1531 e il 1534, quando Michelangelo lasciò Firenze per non farvi mai più ritorno, ma il Crepuscolo e il Giorno (le due opere delle Cappelle Medicee espresse nello stile del "non finito") erano già state ultimate nel 1531 ed è difficile pensare che Michelangelo, che già nel 1526 indicava al Papa il proprio programma di lavoro e le statue che intendeva realizzare personalmente, si dedicasse alla realizzazione dei ritratti di Lorenzo e Giuliano senza aver terminato il Crepuscolo e il Giorno. Dunque, sebbene la Sagrestia Nuova non sia stata completata integralmente secondo il progetto originario e nononstante il fatto che l'allestimento alla parete sia stato realizzato dal personale di bottega dopo che Michelangelo aveva lasciato Firenze senza dare indicazioni in merito al posizionamento delle statue, la Sagrestia Nuova è da considerarsi un'opera finita, almeno con riguardo alle singole statue, che furono portate a compimento da Michelangelo, lasciando alla propria bottega solo l'ultimazione delle finiture.

Se in alcune opere di Michelangelo, come negli Schiavi dell'Accademia, il "non finito" è una conseguenza del mancato completamento dell'opera che si apre a suggestioni interpretative a consuntivo, nella Sagrestia Nuova il "non finito" è a tutti gli effetti un mezzo espressivo consapevole e intenzionale che fa delle statue delle "opere aperte", secondo la definizione elaborata da Umberto Eco e Roland Barthes, dove il ruolo di chi legge l'opera è un ruolo attivo aperto all'interpretazione; se ciò è parzialmente vero nel Crepuscolo, dove il grado di finitura è tale da fare del "non finito" più uno strumento di esaltazione della texture e del chiaroscuro, nel Giorno ciò si traduce in un provocante e stimolante gioco dialettico tra l'autore e l'interprete che può letteralmente trascorrere ore muovendosi intorno all'opera e immaginando l'opera finita ancora racchiusa nel marmo.
Questo elemento si aggiunge come ulteriore livello di lettura del monumento, facendone delle tombe medicee ancor più un'opera superlativa che può stimolare in eterno chi la contempla, proponendosi ogni volta sotto una luce nuova e secondo diversi schemi di interpretazione.
Conclusione: Un Capolavoro Eterno
Le Tombe Medicee sono molto più che un'opera funebre: sono una meditazione sulla vita, sul tempo, sulla morte, sulla potenza dell’arte. Michelangelo scolpisce il marmo come se fosse carne viva, testimoniando la fragilità e la grandezza dell’uomo. In loro si realizza il miracolo dell'arte: l’eternità imprigionata nel marmo. Di fronte a queste opere si resta stupefatti dalla padronanza assoluta del mezzo scultoreo da parte di questo titano della storia dell'arte, al punto di doversi pizzicare per risvegliarci dalla sospensione dell'incredulità che insiste nel convincerci che il nostro sguardo non si sta puntando su fredda roccia ma su carne viva. La cappella che ospita le tombe è un'opera architettonica di una bellezza astratta e ultraterrena che si integra in un tutt'uno con le sculture.
Il talento incontenibile di Michelangelo qui si sprigiona senza freni in un tale debordante estro creativo, un tale impeto inventivo, da indurre a chiedersi come sia possibile che tanta arte potesse essere concepita da un solo uomo.
Consigli pratici per la visita alle cappelle medicee
Le Cappelle Medicee hanno un orario di apertura particolarmente prolungato che va dalle 8 di mattina fino alle 7 di sera, per cui suggerisco di visitarle nel tardo pomeriggio, prima dell'orario di chiusura, quando l'afflusso dei turisti è minore ed è più facile godere delle opere in relativa solitudine; in ogni caso, e fortunatamente, questa opera sublime non gode della popolarità del David o della Venere di Botticelli, per cui le orde di barbari desiderosi di scattare selfie qui non sono ancora arrivate.
La durata della visita può variare da 10 minuti per il turista disinteressato, a due ore per l'appassionato dell'arte di Michelangelo; nelle ore di scarso afflusso, l'accesso alla Sagrestia Nuova e il passaggio dai controlli di sicurezza richiedono pochi minuti, le tombe medicee si riducono ad un ambiente dove sono esposti i due gruppi scultorei di Lorenzo e Giuliano de' Medici e un terzo gruppo scultoreo di minore interesse (sebbene la statua della Madonna con bambino sia pregevole), per cui il tempo da dedicare alla contemplazione dell'opera è del tutto soggettivo. Va detto, tuttavia, che una visita alla Sagrestia Nuova non può non includere anche una visita alla Cappella dei Principi (che è inclusa nel percorso della Sagrestia Nuova, ma a cui dedicherò un post a parte), a cui ritengo non si possa dedicare meno di 10 minuti fino a mezz'ora, e una visita all'adiacente Cappella di San Lorenzo. Per gli amanti delle biblioteche ritengo che sia poi doveroso includere nel percorso una visita anche alla Biblioteca Mediceo Laurenziana, per cui un piano di visita ragionevole deve includere un pomeriggio intero, partendo dalla Biblioteca, passando per la Basilica di San Lorenzo (il cui orario di chiusura normalmente è alle 17, con esclusione della domenica, giorno in cui la Basilica è chiusa alle visite), per finire con la Sagrestia Nuova.

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