Le Piramidi di Giza: la geometria del tempo
- The Introvert Traveler
- 8 ott
- Tempo di lettura: 22 min
Aggiornamento: 9 ott

Data della visita: agosto 2025
Mio giudizio: 10/10
Durata della visita: 6 ore
C’è un momento, poco prima dell’alba, in cui la piana di Giza sembra ancora sospesa tra la notte e il mito. L’aria è ferma, il vento del deserto si è ritirato, e l’ombra delle piramidi si confonde con l’indistinto delle case di Al-Haram, un quartiere del Cairo che ormai lambisce la necropoli come un mare di cemento. Da lontano, il profilo della Grande Piramide appare come un’astrazione geometrica, una figura ideale più che un manufatto umano. Avvicinandosi, però, la perfezione si spezza: i blocchi di calcare, corrosi dal sole e dal tempo, mostrano crepe, restauri, fratture. L’ordine matematico del mito si incrina nella materia, e la pietra torna pietra.
E' il momento di addentrarsi dentro alla piana di Giza, in un confronto a tu per tu con la Storia, con una delle opere archetipiche del genere umano, con luoghi e immagini che sono radicati nell'immaginario di ogni uomo vivente; e un post sulle piramidi obbliga a trattare la materia con la debita devozione.

I. Il contesto storico delle piramidi di Giza: la nascita di un’idea di eternità
Le piramidi di Giza risalgono al cuore dell’Antico Regno, tra la IV e la V dinastia, intorno al 2550-2450 a.C. Sono il culmine di un’evoluzione architettonica lunga, cominciata più di un secolo prima con i mastaba di Saqqara e la piramide a gradoni di Djoser, attribuita all’architetto Imhotep. L’idea che un sovrano potesse farsi costruire una scala verso il cielo non era solo simbolica: rappresentava una vera ontologia del potere. Il faraone, per gli Egizi, non moriva mai davvero; passava semplicemente da una forma all’altra, da quella umana a quella divina. L’architettura doveva accompagnare questa transizione.
Quando Khufu (Cheope, secondo la tradizione greca) decise di edificare la più grande piramide mai costruita, non stava solo pianificando un sepolcro. Stava codificando, nella pietra, l’idea di immortalità come atto politico. La Grande Piramide, alta in origine 146,6 metri, con una base di 230 metri per lato e oltre due milioni di blocchi di pietra, era una dichiarazione cosmologica: il mondo stesso, ordinato in base a proporzioni perfette, avrebbe custodito il corpo e il nome del sovrano per l’eternità.
L’ordine successivo, con la piramide di Chefren e quella di Micerino, rappresentò una sorta di eco controllata, una replica ridotta che perfezionava ma non superava l’archetipo. È come se la dinastia, raggiunto il vertice, avesse già intravisto il limite: non si può costruire qualcosa di più grande dell’eternità.
Alcune informazioni basilari sono necessarie per visitare le piramidi. Innanzitutto la datazione: sebbene l'età esatta delle piramidi sia ancora controversa, al momento si ritiene che siano state edificate intorno al 2500 A.C. E' difficile rendere a parole le proporzioni dell'orizzonte temporale che ci separa dalle Piramidi; si tratta di opere che erano estremamente antiche già all'epoca di nomi che nell'immaginario comune identificano l'Antico Egitto, come Tutankhamon o Cleopatra. Credo che le immagini possano rendere meglio di qualsiasi parola le dimensioni della linea del tempo che ci separa dalle Piramidi (cliccare per ingrandire):

E no, prima che qualcuno lo chieda: il fatto che le piramidi precedano di 1000 anni l'estinzione dei mammut non significa che siano più antiche dei dinosauri.
Se a questo punto non siete già sufficientemente stupiti, mi corre l'obbligo di calare un altro asso; perché la timeline che ho appena postato qui sopra può essere fuorviante, rappresentando le piramidi di Giza all'inizio di uno sterminato lasso temporale che ricorre su, fino alle origini della civiltà; ebbene, le piramidi di Giza non sono l'opera primigenia della civiltà egizia, il punto di partenza di un arco temporale remoto, ma al contrario sono il punto di arrivo, l'apice tecnologico dello sviluppo di una tecnica costruttiva che ha precursori ancora più antichi come nel caso del complesso di Dahshur, dove la tecnica di costruzione delle piramidi fu perfezionata, incorrendo in errori, cedimenti, correzioni, che portarono finalmente alla padronanza che è esibita a Giza.

Un altro aspetto che credo vada chiarito è che le piramidi come ci appaiono oggi sono ben diverse dalle opere che furono inizialmente edificate. Di fronte a manufatti estremamente antichi è sempre opportuno chiedersi in che modo il tempo abbia influito sull'aspetto attuale; così come nell'interpretazione dell'Augusto di Prima Porta occorrerebbe di ricordare che si trattava di un'opera policroma, o come nel contemplare il famoso "rosso pompeiano" che decora le abitazioni di Pompei è necessario avere a mente che in realtà si trattava di un giallo sbiadito la cui tonalità è stata mutata dal calore dell'eruzione del vesuvio, nel visitare le piramidi è sempre opportuno che ciò che vediamo oggi è lo scheletro, martoriato dagli eventi di opere che furono edificate ben diverse dal popolo egizio di 5 millenni fa. Quelli che vediamo oggi, infatti, sono gli edifici nudi, privi del loro rivestimento; originariamente, infatti, le piramidi dovevano avere un forte significato simbolico, di cui dirò in seguito, in cui il colore giocava un ruolo essenziale; le piramidi, infatti, furono originariamente rivestite di calcare bianco, minuziosamente levigato e assemblato per farne dei perfetti e abbaglianti (così, letteralmente, le descrive Erodoto) poliedri di proporzioni inaudite; parte di tale rivestimento, distrutto dal tempo e dagli eventi, è ancora visibile alla sommità della Piramide di Chefren, che probabilmente recava anche alla sommità un "cappello", o pyramidion in oro; all'epoca della loro costruzione dovevano quindi apparire pressappoco così (l'immagine non è molto veritiera, poiché pare che solo la piramide di Chefren avesse il pyramidion in oro al vertice, ed è certo che la piramide di Micerino avesse, come ha tuttora, il basamento in granito rosso, ma ho di meglio da fare che litigare troppo a lungo con ChatGPT):

Un ultimo caveat, è quello di sgombrare la mente da preconcetti e nozioni acquisite: l'immagine delle piramidi è talmente radicata nell'immaginario globale da essere diventata un luogo comune; visitando Giza è necessario ripulire la propria memoria iconografica, ritrovare lo stupore e meravigliarsi al pensiero che sì, veramente 5000 anni fa un intero popolo si è interamente dedicato alla costruzione di colossali poliedri nel mezzo del deserto.

II. Le ipotesi costruttive: tra ingegneria e fede

Da secoli gli studiosi — e gli improvvisatori — si interrogano su come gli Egizi abbiano potuto realizzare un’impresa simile con mezzi apparentemente primordiali. La questione non è solo tecnica, ma anche antropologica: fino a che punto possiamo accettare che un popolo di 4500 anni fa disponesse di un sapere capace di sfidare il tempo, quando noi, con tutta la nostra tecnologia, non saremmo forse in grado di replicarlo con la stessa precisione?
A questo punto credo che sia necessario soffermarsi nello spiegare su cosa rende veramente eccezionali le piramidi di Giza, al punto da suscitare tanti interrogativi e tanta esitazione negli studiosi. Come ho già detto, le piramidi rappresentano l'apice tecnologico di una tecnica estremamente complessa che già 5000 anni fa aveva richiesto lungo tempo per essere affinata. A Dahshur esiste un complesso più antico che in qualche modo funse da palestra per le più note piramidi di Giza; la grande piramide di Dahshur fu funestata da una serie di cedimenti che imposero continue variazioni al progetto; a dispetto di ciò che si potrebbe pensare, per costruire una piramide non è sufficiente sovrapporre l'uno sull'altro innumerevoli strati di pietre colossali perché la struttura collasserebbe sotto al proprio stesso peso; inoltre, e questo forse è più ovvio anche il terreno sottostante deve essere scelto in modo da sostenere l'immenso peso della struttura. Toby Wilkinson ne L'antico Egitto racconta così l'epopea della costruzione della piramide di Dahshur:
Allorché la costruzione della grande piramide di Dahshur era giunta a meta, le caratteristiche geologiche del luogo intervennero bruscamente: sul rivestimento esterno iniziarono a formarsi delle crepe, segno inconfondibile di un cedimento del terreno. Semplicemente, la sabbia e lo scisto sottostanti non erano sufficientemente solidi per reggere l'enorme peso della piramide e il terreno aveva cominciato a cedere. Come misura di emergenza, furono posti attorno alla base della piramide blocchi supplementari di pietra, riducendo cosí l'inclinazione fino a 44° , ma era troppo poco e troppo tardi. Nei corridoi e nei locali interni iniziarono ad aprirsi altre crepe a cui gli architetti cercarono in ogni modo di porre rimedio, con riparazioni in stucco e perfino un nuovo rivestimento in pietra. Per puntellare i soffitti si usarono anche costose travi d'importazione (la Pietra di Palermo riferisce dell'arrivo da Kebny di quaranta navi cariche di legno di conifera), ma fu tutto inutile. Alla fine, in un disperato tentativo di salvare dalla completa rovina la piramide, e le loro carriere, gli architetti si risolsero a cambiare radicalmente il progetto. L'angolo di inclinazione della metà superiore della costruzione fu ulteriormente ridotto a 43° € si impiegarono blocchi di pietra piú piccoli, disposti in corsi orizzontali anziché inclinati verso l'interno come in precedenza, contribuendo cosi senza volerlo ad aumentare lo sforzo e le tensioni alla base.

Ebbene, se nella piramide di Dahshur l'inclinazione dovette essere rivista in corso d'opera e appiattita, semplificando così significativamente l'elevazione dell'opera, nelle tre piramidi di Giza l'inclinazione è ripetutamente, con scarti minimali tra le tre piramidi, di 51°; tornerò immediatamente su questo valore, che potrebbe essere insignificante per i più, ma prima di tutto vorrei invitare a riflettere sulla capacità raggiunta dagli Egizi di innalzare ripetutamente opere di tale complessità strutturale con questa precisione matematica. Veniamo dunque al numero 51 (in gradi); perché questo valore è speciale? Un'inclinazione di 51° equivale a un rapporto geometrico di 14/11, vale a dire che per ogni 11 unità di base, l’altezza cresce di 14; questo rapporto corrisponde quasi esattamente al rapporto π/2, vale a dire che la piramide di Cheope in particolare, ovvero quella che si avvicina con maggiore esattezza a questi valori è una possibile rappresentazione simbolica del cerchio inscritto nel quadrato. E' difficile pensare che valori matematici così significativi siano dovuti al caso.

Ma non è finita qui. Nelle piramidi di Giza non è solo la precisione matematica con cui le piramidi sono edificate a stupire. La Grande Piramide di Cheope, infatti, è orientata verso il Nord geografico con uno scarto di circa 1/15–1/20 di grado (≈ 0,05°), un livello di precisione sbalorditivo persino rispetto agli strumenti moderni. Se vi state chiedendo, come ho fatto io, se il Nord geografico resti immutato nel corso del tempo, o se sia solo una coincidenza che oggi l'allineamento della piramide coincida così perfettamente con il nord, beh, no, non è il nord geografico a variare nel corso dei millenni a causa della precessione dell'asse terrestre, ma il nord celeste (in altri termini, quando le piramidi furono edificate, non era la stella polare a indicare il nord, che si trovava invece tra l'Orsa Maggiore e l'Orsa Minore); il nord geografico resta sostanzialmente fisso, salvo variazioni infintesimali e la piramide di Cheope è stata allineata con una precisione che lascia ammutoliti.

Vediamo ora un po' di numeri grezzi, per cercare di comprendere la monumentalità dell'opera. La Piramide di Cheope è fatta di 2.300.000 blocchi di pietra ciascuno dei quali pesa in media piú di una tonnellata, e copre una superficie di oltre cinque ettari. Da un semplice calcolo risulta che nei vent'anni del regno di Cheope (2545-2525) i costruttori avrebbero dovuto disporre al suo posto un blocco di pietra ogni due minuti, lavorando dieci ore al giorno per tutto l'anno. I lati della piramide di Cheope sono di 230 metri ciascuno, con uno scarto di pochi centimetri. Provate a immaginare di dover collocare con precisione un solo blocco di pietra del peso di una tonnellata; ora pensate di doverne allineare un secondo al primo; e poi pensate di dover realizzare in questo modo un intero quadrato di 230 metri di lato, e ultimato il lavoro, di aver completato solo il primo livello; la piramide di Cheope di "strati" sovraposti (tecnicamente "corsi") ne ha 203 (di altezza via via decrescente) ed è inutile dire che ogni nuovo livello comporta la difficoltà crescente di innalzare i conci ad altezze sempre maggiori.
Come è stato possibile dunque, realizzare queste opere quasi 5000 anni fa?


Le ipotesi accademiche principali si dividono in due grandi scuole: quella della rampa esterna e quella della rampa interna. La prima, tradizionale, immagina una rampa progressiva di terra e detriti che avvolgeva la piramide man mano che cresceva, consentendo di trainare i blocchi fino alla sommità con slitte e corde. Ma la quantità di materiale necessaria, e lo spazio richiesto per un simile sistema, rendono l’ipotesi logisticamente quasi insostenibile. La seconda teoria, avanzata dall’architetto francese Jean-Pierre Houdin, prevede invece una rampa a spirale interna, scavata nella struttura stessa, che avrebbe permesso di sollevare i blocchi dall’interno, riducendo tempi e dispersioni. Alcune indagini con scanner termici e radar hanno individuato anomalie compatibili con questa interpretazione, ma nulla di conclusivo.
Altri modelli — più marginali, ma non privi di fascino — evocano sistemi di contrappesi idraulici, piani inclinati a sabbia, o l’uso di lubrificanti naturali per ridurre l’attrito. E, naturalmente, non manca la letteratura pseudoarcheologica: alieni, energie sconosciute, civiltà perdute. Ma anche queste teorie improbabili, nel loro eccesso, testimoniano la stessa cosa: la difficoltà di accettare che la pura volontà organizzata di una società umana abbia potuto concepire un tale equilibrio di ingegno e fede.
Questo è il punto propizio per inserire, per sole ragioni di indicizzazione, la frase "le piramidi sono state costruite dagli alieni", giusto per attrarre un po' di traffico di illetterati.
Senza nulla togliere al fascino dell'opera, ma giusto per zittire i lunatici delle teorie aliene, Toby Wilkinson, nel già citato L'Antico Egitto, illustra così la tecnica di costruzione (come per dire che ciò che appare impossibile, poteva a ben vedere essere realizzato con ingegno e tanto sacrificio):
Una volta preparato il sito, sgombrando e livellando il terreno (pro-babilmente scavando nella roccia dei canali che venivano poi riempiti d'acqua per verificare che non vi fossero pendenze), arrivava il momento di iniziare la costruzione vera e propria. Oggi le dimensioni del progetto possono apparire una difficoltà insormontabile ma alla macchina di governo di Cheope, che poteva vantare l'esperienza di un'intera generazione nella costruzione di grandi piramidi, l'impresa doveva apparire meno scoraggiante. Gli antichi egizi affrontavano ogni opera su vasta scala suddividendola in una serie di elementi piú maneggevoli, e nel caso della costruzione delle piramidi e dell'organizzazione della forza lavoro tale approccio risultava efficiente ed efficace. L'unità base della manodopera era costituita probabilmente da brigate di venti uomini, ciascuna con un suo capo. Si creava cosí un immediato spirito di squadra e un senso di amichevole rivalità tra le diverse brigate di operai, incitate a cercare di superare le altre; lo stesso meccanismo era seguito anche con unità piú grandi, come sappiamo dalle testimonianze epigrafiche: dieci brigate formavano una divisione di duecento uomini, conosciuta oggi con il termine greco phyle; cinque phylai, ciascuna con un proprio capo e un preciso senso di identità, formavano un reparto di mille operai. Due re-parti, sempre con una loro precisa identità e nomi spesso scherzosi (per esempio «gi ubriaconi del re»), davano vita a loro volta a una squadra, che rappresentava l'unità di maggior dimensioni. (...) per trascinare gli enormi conci di pietra dalla cava fino al cantiere ci si spezzava la schiena; ogni blocco, del peso di una tonnellata o anche piú, doveva essere sollevato a forza di leve su una sorta di slitta di legno, che veniva poi tirata con delle funi lungo una rampa accuratamente preparata; arrivato a destinazione, il blocco doveva essere scaricato dalla slitta e spostato con ogni attenzione fino al luogo in cui sarebbe stato perfettamente squadrato e rifinito. E tutto questo al ritmo di un concio ogni due minuti, per dieci ore al giorno. (...) Nonostante queste sue dimensioni sovrumane, il monumento di Cheope rappresentò comunque una conquista profondamente umana, e di certo alla portata delle capacità degli antichi egizi. Con calcoli ed esperimenti pratici si è dimostrato che due squadre sole, ovvero quattromila uomini, sarebbero bastate a cavare, trainare e mettere al loro posto i due milioni e piú di blocchi di pietra di cui la piramide è costituita. Probabilmente si sarebbe resa necessaria una pari forza lavoro per realizzare e mantenere in buone condizioni le lunghe rampe che conducevano dalla cava alla piramide e poi sulle quattro facce del monumento che si andava sempre piú innalzando. Un altro esercito di operai faticava duramente dietro le quinte per fare in modo che l'intera opera procedesse senza interru-zioni: carpentieri che costruivano le slitte con cui si trainavano i grandi blocchi; portatori d'acqua che dovevano lubrificare le rampe di legno e fango su cui passavano le slitte; maestri vasai che fabbricavano le grandi giare per i portatori d'acqua e il vasellame quotidianamente necessario per fornire cibo; fabbri per gli scalpelli; fornai, birrai e cuochi per le vettovaglie. in tutto comunque la forza lavoro potrebbe non aver superato le 10.000 unità.

III. La materia e il numero: la piramide come teologia geometrica
La piramide di Cheope non è soltanto un cumulo di pietre; è una macchina concettuale. Come appena detto, il rapporto tra l’altezza e il semilato di base è pari a π/2, una proporzione che produce un’inclinazione di circa 51°50’, quasi identica per tutte le grandi piramidi. Che questa relazione sia frutto di consapevolezza matematica o di necessità empirica è ancora oggetto di dibattito, ma la suggestione rimane: la piramide come incarnazione del numero, come ponte tra la misura e il divino.
Nella simbologia egizia, la forma piramidale rappresenta il raggio solare che discende verso la terra. Le superfici triangolari convergono al vertice come i raggi del sole che tornano al cielo, evocando il percorso dell’anima del faraone. I testi delle piramidi — incisi secoli dopo, ma già presenti in forma orale — parlano del re che “sale nel cielo come un falco, che siede sul trono di Ra e ordina agli dèi”.La pietra, quindi, non era inerte. Ogni blocco rappresentava una parte dell’ordine cosmico, una tessera di Maat, la dea della verità e dell’armonia universale.
L’architettura egizia non concepiva lo spazio come qualcosa da abitare, ma da attraversare. Il cuore della piramide, con le sue camere e i suoi corridoi inclinati, non era pensato per i vivi: era una mappa per l’aldilà. La cosiddetta “camera del re”, con il sarcofago di granito rosso, si trova al centro esatto della massa, a un’altezza che corrisponde a un terzo della piramide. Tutto è proporzionato come in un teorema, eppure tutto è carico di un pathos silenzioso. Entrare oggi in quella camera, spoglia e claustrofobica, è come trovarsi in un cervello di pietra: una struttura che pensa l’eternità.
IV. Il lavoro e il mito: il popolo invisibile
Per secoli si è creduto che le piramidi fossero state costruite da schiavi, un’immagine sedimentata nella cultura occidentale fin dai tempi di Erodoto e poi ribadita dalla Bibbia. Ma gli scavi condotti alla fine del XX secolo hanno ribaltato questa visione. Le piramidi furono erette da lavoratori specializzati, organizzati in squadre permanenti, ben nutriti e alloggiati in villaggi appositi, non da masse di schiavi piegati sotto la frusta.
Resti di pane, ossa di manzo e pesce, graffiti con i nomi delle squadre (“Gli amici di Cheope”, “I bevitori di birra di Chefren”) mostrano una dimensione quasi collettiva, una sorta di cantiere-statale ante litteram, dove la costruzione del monumento era anche un rito sociale. Il lavoro come forma di culto: costruire per il dio-re significava partecipare alla creazione dell’universo. Si trattava, dunque, di una società che aveva interiorizzato il senso della durata come principio politico. Il tempo non era una linea, ma una struttura: qualcosa che si poteva edificare.

V. Il declino del mito: la sabbia e il cemento
Oggi Giza non è più un altopiano isolato nel deserto, ma un lembo di città assediato dall’espansione urbana del Cairo. Il traffico arriva fin quasi al recinto del sito, e i cammellieri offrono giri “tradizionali” davanti ai bus turistici. L’odore di benzina si mescola a quello dei datteri e della sabbia calda. La distanza tra sacro e profano si è dissolta: le piramidi vivono ora in un cortocircuito di tempo, dove l’antico e il banale si sfiorano senza mai fondersi.
Visitare Giza oggi significa confrontarsi con questa dissonanza. L’ingresso principale, con i controlli di sicurezza e le biglietterie, introduce in un luogo che oscilla tra il museo e il luna park.

VI. la Sfinge
La Sfinge di Giza è una di quelle presenze che l’occhio contemporaneo ha finito per considerare familiari — quasi un logo della civiltà egizia — e proprio per questo non la vede più davvero. Eppure, se la si guarda con la calma che merita, ciò che emerge non è un simbolo benevolo di sapienza ma una figura perturbante, quasi mostruosa, la cui immobilità millenaria è una forma di minaccia. Mezzo leone e mezzo uomo, la Sfinge non appartiene a nessun ordine naturale: è la negazione del movimento e della parola, un corpo bloccato nella pietra che fissa l’orizzonte come se ne sorvegliasse il confine.
L’opera, scolpita direttamente nel banco di calcare della piana di Giza, misura 73 metri di lunghezza per 20 di altezza ed è orientata verso est, là dove sorge il sole. La maggior parte degli egittologi la attribuisce al regno di Chefren (circa 2520–2494 a.C.), poiché il volto — seppur eroso — presenta tratti simili ai ritratti statuari del sovrano e perché la sua posizione si allinea perfettamente all’asse del suo complesso funerario. Tuttavia, questa identificazione non è mai stata universalmente accettata: altri studiosi hanno ipotizzato che possa risalire a Cheope, padre di Chefren, o a una fase precedente ancora, ereditata e riutilizzata dai successori.
L’idea di una Sfinge “preistorica” è stata ripresa, con toni più speculativi da altri studiosi ancora, secondo i quali le profonde scanalature sulla scocca della statua non sarebbero dovute al vento ma all’erosione prodotta da piogge torrenziali, quindi anteriori al 2500 a.C. — una tesi che implicherebbe una datazione di oltre 7000 anni. La comunità scientifica ufficiale, tuttavia, ritiene che quelle fratture derivino da un complesso intreccio di processi chimici, erosione e infiltrazioni di sali nel calcare tenero.
Nel corso dei secoli la Sfinge ha subito un deterioramento drammatico: già ai tempi del faraone Thutmosi IV (XV secolo a.C.) era parzialmente sepolta dalla sabbia, e proprio allora venne collocata la cosiddetta Stele del Sogno, su cui il sovrano racconta di aver avuto una visione in cui la Sfinge, soffocata dal deserto, gli prometteva il regno in cambio della liberazione. Da allora il colosso è stato più volte interrato e riscoperto, fino agli scavi moderni condotti a partire dal 1800 che riportarono in luce il corpo intero.
Oggi il monumento sopravvive in stato precario: le variazioni termiche, l’inquinamento e la falda freatica di Giza minacciano continuamente il suo calcare friabile. I restauri — alcune antichi, come i blocchi aggiunti dai faraoni del Nuovo Regno, altre recenti, in cemento e calcare sintetico — hanno cercato più di contenere che di invertire il danno.
Resta comunque un enigma di potenza inquieta: un volto umano che emerge dal corpo di una belva, il tentativo egizio di dare forma visibile all’autorità assoluta, qualcosa che è insieme intelletto e forza, pensiero e pietra. L’abitudine moderna l’ha addomesticata, riducendola a icona turistica, ma nulla vieta di pensare che, per chi la vide la prima volta emergere dal banco di roccia, la Sfinge fosse una creatura terrificante, il guardiano immobile dell’eternità.

VII. L’esperienza contemporanea: il visitatore e il simulacro
Camminare tra le piramidi oggi significa confrontarsi con la perdita del silenzio. Le voci dei venditori ambulanti, i richiami delle guide, il frastuono dei pullman formano una colonna sonora che non si può ignorare. Ma è proprio in questo rumore che, paradossalmente, si può percepire la distanza che separa noi da loro: noi, viaggiatori del presente, immersi nel flusso turistico globale; loro, costruttori di un tempo circolare, dove la morte era solo una forma della continuità.
Ci sono momenti, tuttavia, in cui il sito si svuota. Nel tardo pomeriggio, quando i tour organizzati rientrano al Cairo e la luce si fa obliqua, la sabbia si colora di rame e le piramidi tornano a essere ombre. È allora che si percepisce di nuovo la scala reale del luogo: non la misura fisica, ma quella mentale. La piramide è una macchina del tempo al contrario — non proietta avanti, ma risucchia indietro. Il visitatore contemporaneo, armato di smartphone e bottiglia d’acqua, diventa per un attimo un punto nella storia, una figura marginale all’interno di una cronologia che lo supera di millenni. A dispetto del Cairo, smisurata, incongrua, sempre apparantemente in procinto di fagocitare il fantasma delle piramidi che emerge dagli abissi del tempo.

La grandezza di Giza non sta solo nelle sue dimensioni, ma nella sua ambiguità. È al tempo stesso monumento e rovina, potere e polvere, calcolo e mistero. Ogni epoca ha proiettato su di essa la propria idea di assoluto: i Greci la videro come simbolo di sapienza arcaica, i Romani come prodigio tecnico, gli Europei dell’Ottocento come emblema dell’Oriente immobile. Oggi la vediamo come un bene UNESCO, una destinazione da checklist, un frammento instagrammabile. Ma in realtà la piramide continua a resistere a ogni definizione.
Le piramidi non attendono nulla, ma ricordano tutto. Sono una memoria senza soggetto, un archivio del mondo. E forse è questo che inquieta chi le visita: il fatto che in esse non resti nulla dell’umano se non l’impronta della volontà. L’uomo scompare, ma l’idea di durata resta.
Di fronte alla piramide di Cheope, un viaggiatore contemporaneo — stanco, abbronzato, con il biglietto stropicciato in tasca — si trova davanti alla stessa domanda che si pose un contadino egiziano cinquemila anni fa: cosa significa esistere per un tempo che non ci appartiene? Le piramidi non rispondono. Ma il silenzio che emanano è, in fondo, la più antica delle risposte.
VIII. Consigli pratici per la visita
Come ho già scritto, ho visitato le piramidi ad agosto. Ogni fonte che avevo consultato sconsigliava tassativamente di evitare questo periodo a causa del caldo soffocante e io dissento perentoriamente. Agosto è decisamente il periodo migliore per visitare le piramidi; è vero che la temperatura raggiunge facilmente i 40 gradi, ma si tratta di un caldo molto secco tutto sommato tollerabile e il vantaggio di fruire del sito in bassa stagione, quando l'afflusso di turisti è relativamente basso, non ha prezzo.
Anche nel culmine della bassa stagione, quando tutti i locali mi hanno garantito che il sito era pressoché "vuoto", il sito era devastato dalle peggiori espressioni di overtourism, e non oso pensare cosa possa accadere in alta stagione, ma nel complesso la ressa di turisti cafoni era tollerabile.
Alla data di agosto 2025 è già operativo il nuovo main gate situato all'estremità ovest della piana di Giza; ma è ancora operativo l'ingresso est, in prossimità della Sfinge, da cui suggerisco di entrare, almeno fino a quando questo ingresso resterà operativo, per due motivi. Innanzitutto perché ho soggiornato in questo Airbnb, che consiglio a tutti per la spettacolare vista sulle Piramidi di cui ho goduto ogni sera per 5 giorni potendo godere lungamente del loro skyline più di quanto non abbia potuto fare in occasione della visita stessa alle Piramidi; se soggiornate in questo Airbnb, o in un altro in prossimità che goda della stessa vista, questo ingresso è a meno di un minuto a piedi.
Inoltre l'ingresso dalla Sfinge mi sembra il migliore per godere da subito della vista più spettacolare sull'intero complesso e poi risalire progressivamente attraverso le tre piramidi e verso i punti panoramici.
Un'altro aspetto che era riportato letteralmente da ogni fonte che abbia consultato riguardava il problema dei truffatori che ossessionano i turisti rendendo pressoché impraticabile la visita se non accompagnati da una guida locale. Niente di tutto ciò. In Egitto è purtroppo un'esperienza ricorrente essere importunati da qualche locale che offre qualsivoglia servizio non richiesto per poi esigere una mancia, ma questo non avviene alle piramidi più che altrove, anzi direi che è il contrario. Io ho tranquillamente passeggiato per 6 ore attraverso tutta la piana, in totale tranquillità; c'è sì stato qualche episodio, paradossalmente ad opera del personale autorizzato, ma niente a cui non ci si abitui rapidamente soggiornando al Cairo.
Un'altra novità che segue alla ristrutturazione dell'intero complesso è la presenza continua di bus navetta che collegano i vari punti del sito; il mio consiglio è di visitare la piana camminando il più possibile per assaporare lentamente la vista dei monumenti da ogni prospettiva possibile; anche sotto il sole di agosto è un'esperienza alla portata di tutti; chi scrive è un 50enne in pessima forma fisica che trascorre la maggior parte del proprio tempo alla scrivania, ma non ho incontrato nessun problema nel percorrere in lungo e in largo la piana a piedi; l'importante è munirsi di sneakers comode (non servono assolutamente scarpe da trekking) e di acqua. La presenza delle navette, che transitano in continuazione e sono dotate di aria condizionata è comunque utilissima per guadagnare un po' di minuti nel transito da un posto all'altro, in particolare per raggiungere il punto panoramico più popolare, che indubbiamente consiglio di includere nella visita.
Partendo dall'ingresso est (almeno fino a quando sarà operativo) e procedendo verso sinistra, si attraversa un breve percorso tra poche tende di venditori di paccottiglia e si raggiunge subito la Sfinge; la visita alla Sfinge è piuttosto rapida perché non è consentito accedervi direttamente ma la si può solo contemplare da un ripiano sul lato destro del monumento. Prendetevi tutto il tempo per godere della vista dell'antichissimo manufatto e poi procedete, in lieve e progressiva salita, attraverso la piana e verso la piramide di Chefren; a quel punto sta a voi decidere come procedere, se visitando vagando senza meta tra le tre piramidi, oppure visitando subito la piramide di Cheope, o ancora dirigendovi subito verso i punti panoramici. La visita alle piramidi si esaurisce sostanzialmente in queste tappe, prendendosi tutto il tempo necessario per assaporarne lentamente la vista, osservando con il passare del tempo la luce che cambia sulle superfici, il contrasto tra l’ordine geometrico e la disgregazione naturale, le prospettive e le proporzioni.
Tra i luoghi che richiedono un biglietto a parte c'è anche la tomba di Meres Ankh, che non mi ha impressionato affatto. Se siete stanchi, o non riuscite a trovarla (in effetti senza indicazioni non è facilissimo e potreste dover pagare una piccola tangente a qualche locale per farvi accompagnare all'ingresso) potete tranquillamente soprassedere senza soffrire in seguito di rimorsi; si tratta di una piccola tomba con alcune decorazioni trascurabili.
Cavalli e cammelli: no, vi prego. Al di là della stupidità dell'adesione a uno stereotipo di così basso profilo... al di là del fatto che alimentereste un'industria che sfrutta la sofferenza di tante povere bestie, ma poche cose rovinano la suggestione della visita alle piramidi come la cacofonia dei turisti chiassosi che si chiamano strillando da un'estremità all'altra della carovana o prorompono in risate stridule ogni volta che un dromedario pencola su un ammasso di sabbia.
L'ingresso alla Piramide di Cheope: anche su questa tappa della visita avevo letto racconti preoccupanti dove si diceva che il percorso che conduce alla camera del sarcofago era orribilmente angusto e impraticabile, mettendo in guardia chi soffre di claustrofobia dall'avventurarsi in tale meandro. Anche queste affermazioni direi che sono esagerate. L'ingresso dentro alla grande piramide si può scomporre in quattro tratti: il primo è un normalissimo corridoio nella pietra, della lunghezza di qualche decina di metri, che si percorre normalmente in piedi, abbastanza largo per consentire il passaggio del traffico in entrata e in uscita; segue un corridoio, il più ostico, che va percorso piegati a 90 gradi, poco più largo di una persona, che una delle due persone che si icontrano in direzioni opposte a fermarsi per consentire il passaggio all'altra; anche questo secondo tratto sarà lungo, direi, non più di 30 metri; segue poi un altro breve corridoio, di grandissime dimensioni, la cui unica difficoltà è essere in ripida salita, in fondo al quale c'è un breve corridoio di pochi metri dell'altezza, direi, di circa un metro che conduce finalmente alla sala del sarcofago. Chi scrive è un 50enne in pessima forma fisica che trascorre la maggior parte del proprio tempo seduto a una scrivania e ha pagato questo percorso semplicemente con una copiosa traspirazione; ho visto gente in condizioni fisiche molto peggiori delle mie compiere il tragitto e giungere alla camera mortuaria con fiato sufficiente per esibirsi in inutili strilli di giubilo. A conti fatti: solo chi soffre patologicamente di claustrofobia dovrebbe privarsi dell'esperienza. L'esperienza in sé sarebbe, o dovrebbe essere emozionante: dentro alla camera del sarcofago non c'è assolutamente nulla, ma sarebbe, o dovrebbe essere estremamente suggestivo trovarsi dentro a questo immenso edificio, costruito migliaia di anni fa da una grande civiltà estinta per ospitare le spoglie mortali del proprio re/divinità. Purtroppo la camera del sarcofago è infestata di turisti che berciano striduli e si scattano selfie con ciò che resta del contenitore del sarcofago, il che sopprime pressoché integralmente l'emozione di trovarsi in un luogo così sacrale. Ora, io non dico che si debba portare rispetto al luogo di sepoltura, che ha smesso di svolgere quella funzione da tempo, e in fondo ospitava la spoglie di un dittatore sanguinario di tanti anni fa; ma il rispetto per la Storia, quello no, è dovuto e dovrebbe essere portato con deferenza. E invece no, branchi di caproni che stillano e si scattano selfie facendo il segno della pace con le dita, che Dio li fulmini.
Entrare dentro alla Piramide vale il costo del biglietto e la fatica del percorso? Al netto dei turisti cafoni, secondo me sì, indubbiamente: anche se non c'è niente di sostanziale da vedere se non una camera vuota, è emozionante trovarsi nel ventre del gigante, osservare, passo dopo passo, gli enormi blocchi posati sistematicamente con precisione e taglio millimetrico, immaginare l'opera crescere lentamente durante la costruzione, giorno dopo giorno e anno dopo anno e riflettere sui secoli di cui è stata testimone.
Orari e accesso: il sito è aperto generalmente dalle 8 alle 17 (in estate l’apertura può anticipare). È consigliabile arrivare presto, prima che arrivino i bus turistici.
Biglietti: l’ingresso all’area delle piramidi costa intorno ai 600 EGP; l’accesso interno alla Grande Piramide è separato (900 EGP circa). I prezzi variano periodicamente.
Trasporti: dal centro del Cairo si può raggiungere Giza in taxi o Uber; la metro (linea 3, fermata Giza Station) sarà presto collegata al nuovo visitor center del GEM. A ottobre 2025 ha aperto ufficialmente la passarella di 2km che collega il nuovo GEM al lato nord della piramide di Cheope.
Abbigliamento e clima: il sole (ho visitato le piramidi a fine agosto) è molto forte anche se il clima secco rende tollerabile la temperatura. Indispensabili cappello, occhiali e acqua.
Guide e truffe: evitare di accettare “guide spontanee” all’interno del sito; in ogni caso una guida non è necessaria. Studiate per tempo le nozioni necessarie e poi dedicatevi a camminare lentamente attraverso il sito.
Tempi di visita: per una visita completa alla piana di Giza sono necessarie 6 ore, passeggiando con tutta calma attraverso il sito, incluso l'ingresso alla Piramide di Cheope. Presumo che i tempi possano essere più lunghi in alta stagione, quando le file, in particolare per l'ingresso alla Grande Piramide, potrebbero essere più lunghe.
Punti panoramici: uno dei migliori punti per la fotografia è il “Panorama Point”, accessibile con il bus navetta e un breve tragitto a piedi, da cui si vedono allineate le tre piramidi.
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