Uber, il Cairo e le truffe
- The Introvert Traveler
- 29 ott
- Tempo di lettura: 2 min

Dopo il post romantico dedicato ai tassisti del Cairo, ecco il duro tuffo nella realtà.
C’è un’esperienza, infatti, che ogni viaggiatore dovrebbe provare almeno una volta nella vita per capire davvero cosa significhi “fregatura”. Non parliamo di comprare una finta statuetta di Anubi a 200 dollari o di pagare l’ingresso al Museo Egizio a prezzo europeo. No, parliamo di qualcosa di molto più raffinato: prenotare un Uber al Cairo.
Funziona così: tu, povero illuso occidentale, apri l’app, vedi un prezzo onesto, digiti il punto di partenza, sorridi pensando alla modernità che arriva anche qui, nella capitale della civiltà faraonica. Poi premi “Conferma corsa” e inizia il teatro dell’assurdo.
Nel giro di trenta secondi ti arriva il primo messaggio: “Solo 30 USD in contanti ok 👍”. Poco dopo, il secondo: “Per favore, fammi un buon prezzo.” Ah, certo, perché l’autista non è un lavoratore di un servizio digitale: è improvvisamente diventato una vittima del sistema, un novello Che Guevara del tassametro, pronto a rovesciare il capitalismo da dentro l’app.
Se osi rispondere “No, il prezzo è quello mostrato su Uber”, parte la fase due della truffa: la recita delle scuse creative. “Strada chiusa”, “pedaggio extra”, “ora di punta”, “la rotta è diversa”, “l’app sbaglia sempre” — ogni giorno un motivo diverso, un po’ come le promesse elettorali ma con più emoji.
La verità è semplice e sgradevole: molti autisti del Cairo usano Uber non per offrire un servizio, ma per agganciare turisti ingenui e strappare una contrattazione privata fuori piattaforma. Non stai più usando un’app di mobilità: stai partecipando, tuo malgrado, a un’asta clandestina, dove il premio in palio è il tuo portafoglio.

Un sistema che dovrebbe garantire trasparenza diventa il parco giochi dell’improvvisazione e dell’estorsione con il sorriso.
Perché succede tutto questo? Perché al Cairo il concetto di regola è un suggerimento e quello di contratto è un punto di partenza per una contrattazione infinita. Uber, in teoria, nasce per eliminare la contrattazione: al Cairo serve solo a iniziarla.
Quindi, se pensi di spostarti da A a B con un clic, preparati a scoprire che prima dovrai passare per C: Contrattazione, Contanti, e Crisi di nervi.
Il consiglio è spietato ma necessario: rifiuta qualsiasi richiesta extra, segnala immediatamente l’autista, annulla la corsa e prenota di nuovo. Ogni volta che accetti di pagare 30 dollari per un tragitto da 12, stai finanziando la versione 2.0 della truffa del turista sprovveduto — e contribuendo a mantenerla viva. Su Uber, quando cancelli la corsa, c'è l'opzione "l'autista ha richiesto di essere pagato al di fuori della piattaforma", è un po' nascosta, ma c'è.
Al Cairo il deserto è ovunque: non solo fuori città, ma anche dentro l’app, dove il rispetto delle regole evapora come l’acqua del Nilo a mezzogiorno. E finché ci saranno viaggiatori disposti a pagare “perché tanto sono solo dieci dollari in più”, i furbi continueranno a prosperare.




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