Il lampredotto fiorentino
- The Introvert Traveler
- 14 ore fa
- Tempo di lettura: 2 min

Ultima visita: febbraio 2025
Mio giudizio: 9/10
Prezzo: €/€€€€€
Cucina: street food
Il lampredotto non è semplicemente un panino: è un rito iniziatico, una dichiarazione di appartenenza, un capitolo intero della storia sociale fiorentina. E, come tutte le cose davvero autentiche, è anche una creatura un po’ mostruosa — nel senso più affettuoso del termine.
Il lampredotto fiorentino è l’ultima delle quattro camere dello stomaco del bovino: un pezzo di trippa dall’aspetto ruvido, ondulato, quasi marino, che deve il nome alla sua antichissima somiglianza con la lampreda, il pesce che un tempo risaliva l’Arno. È un taglio povero, umile, popolare, nato quando Firenze era una città operaia e ogni parte dell’animale veniva rispettata e utilizzata. E anche oggi, mentre orde di turisti vagano alla ricerca di bistecche da 1,2 kg e carbonare (sacrilegio!) servite in piazza della Signoria, i chioschi del lampredotto restano lì, immobili, indifferenti alle mode, come bastioni di una Firenze che non arretra.
L’ho mangiato da più chioschi nel tempo, ma ogni volta la sensazione è la stessa: ti avvicini, osservi il pentolone che borbotta come un alambicco medievale, vedi il lampredotto sobbollire nel brodo caldo con sedano, pomodoro e cipolla, e capisci che è qualcosa che non puoi improvvisare. Il trippaio lo estrae dal calderone come un oracolo estrarrebbe un responso, lo appoggia sul tagliere — un tagliere che, da quanto è impregnato di storia, potrebbe raccontarti più aneddoti del Museo del Bargello — e lo affetta con un gesto secco, deciso. Poi arriva la scelta: salsa verde, piccante, o entrambe (la risposta corretta è ovviamente entrambe).
Il panino, una rosetta toscana che si disfa alla perfezione, viene intinto nel brodo come un battesimo gastronomico: un gesto semplice, ma di una sensualità tutta sua. E poi arriva il morso: grasso che si scioglie, note erbacee della salsa verde, un accenno di aceto, il piccante che ti sorprende ma non ti aggredisce. È un sapore complesso, arcaico, urbano, elegante e brutale allo stesso tempo: Firenze in forma di sandwich.
Mangiare un lampredotto significa accettare che la cucina vera non nasce dalle carte dei ristoranti stellati, ma dalla strada, dal popolo, dai secoli di necessità e ingegno. Significa arrendersi al fatto che a volte la parte più buona del bovino non è quella nobile, ma quella che la maggior parte delle persone ignorerebbe volentieri. E significa riconoscere che la città ti sta prendendo per mano e dicendo: "Vuoi davvero conoscermi? Allora parti da qui."
Il chiosco non ha pretese: due sgabelli, qualche tovaglietta, clienti che chiacchierano in dialetto stretto, un via vai continuo di lavoratori, pensionati, studenti, e solo pochi turisti coraggiosi (di solito quelli che non hanno paura di vivere). È un ambiente in cui ti senti parte della città anche se non lo sei; un luogo in cui la Firenze dei fiorentini torna a respirare, ignorando completamente l’esistenza di chiunque stia facendo la fila agli Uffizi.
Se vuoi mangiare qualcosa che racconti la storia di Firenze meglio di qualsiasi guida turistica, allora vai da un trippaio, ordina un lampredotto bagnato con salsa verde e piccante, e fatti trasportare. Chiudi gli occhi al primo morso e sentirai la città parlarti in una lingua antica e bellissima.
Buon appetito — e benvenuto nella vera Firenze.












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