Karen Blixen, "La mia Africa". recensione di un'elegia coloniale sospesa tra nostalgia e disincanto
- The Introvert Traveler
- 5 giu
- Tempo di lettura: 3 min

Autore e titolo: Karen Blixen, La mia Africa
Sintesi: Un’autobiografia poetica e disincantata sul confronto tra Occidente e Africa, scritta con grazia e e lirismo.
Per chi: Per chi sta partendo per l'Africa e vuole cominciare a innamorarsene, per chi è tornato e ne soffre il rimpianto. Un classico che ancora oggi solleva domande sulla nostalgia, sull’identità e sulla bellezza dell’irripetibile.
Voto: 5 / 5
"Ho avuto una fattoria in Africa, ai piedi delle colline del Ngong." È con questa frase che si apre La mia Africa (1937), il capolavoro autobiografico di Karen Blixen – danese di nobili origini, scrittrice sotto pseudonimo (Isak Dinesen), protagonista e testimone di una delle più intense esperienze coloniali del primo Novecento.
Ma sarebbe un errore pensare a questo libro solo come a una memoria nostalgica. La mia Africa non è una cartolina esotica e nemmeno un diario sentimentale: è una riflessione sulla bellezza, sulla perdita, sull’irriducibile distanza tra l’Occidente e l’Africa, scritta con uno stile che trasforma la realtà in mito.
Karen Blixen, La mia Africa. Un’opera fuori dal tempo
Il libro è ambientato tra il 1914 e il 1931, durante gli anni in cui la Blixen visse in Kenya gestendo una piantagione di caffè alle pendici delle colline Ngong. Tuttavia, La mia Africa non segue una trama lineare: è una composizione libera, frammentaria, fatta di ritratti, paesaggi, meditazioni, descrizioni di animali, riti locali, rapporti umani, fallimenti e folgorazioni estetiche.
Karen Blixen non racconta l’Africa, ma la evoca. Il suo sguardo è quello di una narratrice europea sospesa tra il fascino e l’alienazione, tra il possesso e l’incomprensione. L’Africa non è mai completamente “sua”, e forse è proprio questo l’oggetto vero del libro: la consapevolezza tragica di non poter mai davvero appartenere al continente che si ama.
Estetica della distanza
Il vero protagonista del libro è il paesaggio africano: immenso, rarefatto, silenzioso. Blixen lo descrive con un lirismo asciutto, mai indulgente. Le colline del Ngong, le pianure attraversate da giraffe e antilopi, i tramonti violetti sull’altopiano kenyota diventano scene metafisiche, cornici per interrogativi esistenziali. L’Africa diventa una sorta di specchio primordiale in cui l’io occidentale, educato al controllo e alla misura, si scopre fragile, contingente, transitorio e artefatto.
Tra epica coloniale e romanzo della memoria
Leggere oggi La mia Africa potrebbe portare qualcuno a interrogarsi sul suo statuto ideologico. Il libro è scritto da un'autrice che oggi potrebbe non attirare le simpatie di ogni lettore: una colonizzatrice bianca che parla (con stile impeccabile) di servi somali, manovali kikuyu, cacciatori masai. L’Africa, in questo testo, è vista da una posizione inevitabilmente verticale. Non ci sono riflessioni politiche, né critiche esplicite al sistema coloniale. E tuttavia, Blixen non cade mai nella retorica dell’"uomo bianco portatore di civiltà". Semmai, emerge un sentimento di inadeguatezza culturale e impotenza pratica di fronte alla potenza simbolica del continente.
La sua Africa è più un’idea che un’esperienza; più una costruzione interiore che un dato etnografico. Questo la rende affascinante e problematica allo stesso tempo.
Ma il trasporto emotivo per lo sconfinato ed esotico continente e il legame viscerale con il mondo africano, rappresentato con immagini vivide e suggestive, non è l'unica trama che percorre il libro, che cede costantemente il passo alla nostalgia del tempo passato e alla transitorietà della felicità.
Un libro sul tempo, più che sul luogo
Alla fine, La mia Africa è soprattutto un libro sulla fine di un’epoca. La fattoria fallisce, l’autrice è costretta a lasciare il Kenya, e tutto ciò che rimane è il ricordo. Il tono si fa elegiaco, ma mai sentimentale. Blixen non cerca la consolazione, ma solo la precisione del ricordo.
"Ho la sensazione che, ovunque mi trovi in futuro, mi chiederò se a Ngong piove."
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