Diving. Perché nelle immersioni si scende subito al fondo: la logica nascosta dietro una regola di sicurezza fondamentale
- The Introvert Traveler
- 29 nov
- Tempo di lettura: 4 min

L'immagine qui sopra rappresenta il profilo di un'immersione che ho fatto lo scorso agosto nel Mar Rosso dove tutto è andato bene, ma le cose avrebbero potuto prendere una brutta piega...
Nel nostro gruppo c'era un ragazzo cinese completamente ignaro delle regole base di immersione, spericolato, sostanzialmente pazzo. Da un punto di vista documentale aveva tutte le carte in regola, ma se aveva frequentato i corsi non era stato molto attento; passava da -40 metri a -10 e poi di nuovo a -40 in pochi secondi con eccessiva disinvoltura, e non era la cosa peggiore che facesse... durante un'immersione a Daedalus Reef, dove tutto era andato regolarmente, quando stavamo per iniziare la sosta di sicurezza ha visto alcuni giganteschi carangidi giù a 40 metri di profondità e, scambiandoli per qualcos'altro (tonni, squali, chi lo sa) si è inabissato per riprenderli con la sua cazzo di Gopro. Mia moglie, che interpreta un po' troppo alla lettera la regola di restare uniti al proprio gruppo, l'ha seguito; il problema è che nel fare questo entrambi si sono allontanati troppo dalla parete, dove non c'era corrente, per trovarsi in mare aperto, dove la corrente era molto forte; per nulla intenzionato a restare vedovo, mi sono buttato all'inseguimento di mia moglie per redarguirla garbatamente (è stata necessaria dell'inventiva per tradurre "si fotta il cinese, non fa altro che mettere tutti noi in pericolo" nel linguaggio dei segni) e riportarla verso la cima della nave che, pinneggiando contro la corrente, sembrava sempre più irraggiungibile, il tutto mentre a mia moglie restavano ormai 30 bar.
Qual è il problema del profilo dell'immersione? Quella cuspide al 45mo minuto, a -26 metri, quando il profilo dell'immersione era progressivamente risalito fino a 10 metri.
L'errore non è stato evidentemente di entità tale da causare problemi a me o a mia moglie, ma sarebbe stato meglio evitarlo; da notare comunque che, raggiunta la quota di 26 metri, la risalita lungo la cima è stata cauta e lenta, nel pieno rispetto delle indicazioni del computer.
Quando impariamo a immergerci, una delle prime regole che ci viene insegnata è quasi lapidaria: raggiungi subito la profondità massima, poi risali progressivamente, senza scendere di nuovo. Molti subacquei la applicano, pochi la comprendono davvero. Eppure, dietro questa semplice indicazione, c’è tutta la fisiologia dell’assorbimento dei gas, la logica dei modelli decompressivi e decenni di esperienza.
In questo post vi porto nel “dietro le quinte” della teoria decompressiva, per capire perché questa regola esiste e perché vale anche nelle immersioni ripetitive.
Il corpo e i gas inerti: cosa succede quando scendiamo
Durante la discesa, la pressione aumenta e l’azoto presente nella miscela respirata entra progressivamente in soluzione nei tessuti. Alcuni tessuti assorbono rapidamente, altri lentamente: è il motivo per cui i modelli decompressivi utilizzano “compartimenti” con tempi diversi.
Questa dinamica funziona bene se il profilo dell’immersione è lineare: discesa alla massima profondità → permanenza → risalita graduale.
È lo scenario per cui le tabelle e i computer sono progettati. Cambiare l’ordine delle profondità significa alterare la logica del modello.
Perché evitare i profili inversi
Un profilo inverso (scendere più profondamente dopo essere già stati a una quota minore) introduce due problemi:
I tessuti sono già parzialmente saturi. Una nuova discesa aumenta il carico in modo imprevedibile.
Il modello decompressivo non è costruito per gestire efficacemente questo scenario.
Entro certi limiti, i profili inversi non sono necessariamente pericolosi per le immersioni ricreative. Tuttavia resta un punto fermo: è meglio evitarli, perché la maggior parte dei dati di sicurezza proviene da immersioni con profilo tradizionale, “profondo → meno profondo”.
Immersioni multilivello: perché funzionano solo in un senso
Le immersioni multilivello sono diventate popolari grazie ai computer e alle tabelle dedicate come The Wheel o l’eRDPML. Anche qui, però, la logica è sempre la stessa: prima il livello più profondo, poi quelli progressivamente meno profondi.
Le tabelle, ad esempio, non permettono una ridiscesa a un livello più profondo. I computer lo possono calcolare, ma non significa che sia una buona idea, perché il modello è ottimizzato per il profilo standard.
E nelle immersioni ripetitive? La regola non cambia
Quando si effettuano più immersioni nello stesso giorno, entra in gioco il carico residuo di azoto. Le vecchie tabelle U.S. Navy penalizzavano molto una seconda immersione più profonda della prima, per via della maggiore saturazione dei tessuti.
Questo principio rimane valido: la prima immersione dovrebbe essere la più profonda, le successive via via meno profonde.
È la strategia più coerente dal punto di vista fisiologico e quella che riduce al minimo lo stress decompressivo.
In sintesi
La sequenza corretta dell’immersione – prima profondità massima, poi risalita graduale senza più scendere – non è una tradizione, ma l’applicazione pratica di come funziona il corpo sotto pressione. È una regola nata per semplificare la pianificazione, rendere i modelli decompressivi più affidabili e ridurre il rischio.
La prossima volta che ti immergi, ricorda: non è solo una routine. È uno dei pilastri della sicurezza subacquea.
P.S. Il ragazzo cinese è sopravvissuto a tutta la crociera, alimentando progressivamente il risentimento di tutti i compagni di immersione. Per quanto ne so è ancora vivo.




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