Il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid: un'istituzione culturale che sfugge al turismo di massa
- The Introvert Traveler
- 14 giu
- Tempo di lettura: 4 min
Ultima visita: maggio 2012
Mio giudizio: 7/10
Durata della visita: 2 ore
Per chi: solo per amanti d'arte, sconsigliato per i turisti occasionali
Se siete a Madrid e, dopo aver visitato il Prado e il Reina Sofia, siete rimasti frastornati dalla profusione di opere spettacolari esposte dai due principali musei della capitale spagnola, potreste aver bisogno di ritrovare il vostro equilibrio estetico contemplando una collezione più raccolta, discreta e meno chiassosa rispetto alle monumentali, ed emotivamente impegnative, tele di Goya, Velazquez, Bosch e Picasso; in tal caso il Museo Thyssen-Bornemisza è proprio ciò di cui avete bisogno.
Il museo, costruito attorno al gusto collezionistico di una delle più importanti famiglie europee del XX secolo, è un museo di nicchia che si rivolge agli intenditori, poco frequentato dal turismo gridato dei selfie e delle audioguide compulsive.

Il vertice ideale: Giovanna Tornabuoni di Domenico Ghirlandaio
Nel cuore della collezione, incastonata come una gemma fra le sale rinascimentali, si trova quella che reputo l'opera di maggior pregio: il Ritratto di Giovanna Tornabuoni di Domenico Ghirlandaio. La giovane moglie di Lorenzo Tornabuoni, morta prematuramente, viene qui eternata secondo la più austera iconografia medicea: di profilo, come una moneta imperiale, con la postura ieratica e senza tempo delle eroine classiche.
È un ritratto in cui ogni elemento è calibrato per conferire nobiltà e gravitas: l’abbigliamento sontuoso ma castigato, l’oro dei ricami, il cammeo con figura classica al petto, la scritta latina retrostante che funge da epitaffio, e lo sfondo scuro, da cui emergono come apparizioni l'anfora antica e il libro di preghiere — allusione, rispettivamente, alla bellezza e alla pietà della defunta. Il Ghirlandaio non idealizza, ma sublima: Giovanna non è più donna ma effigie, non persona ma archetipo di virtù femminile secondo la morale quattrocentesca fiorentina.
L'opera, in eccellente stato di conservazione è espressione del migliore virtuosismo plastico del Ghirlandaio, che qui non si limita a una rappresentazione calligrafica ma mette la propria abilità a servizio di una rappresentazione simbolica; sul piano puramente estetico, il dipinto è un vero e proprio banchetto per gli occhi, dalla ricchezza del broccato, alla purezza dell'incarnato, al realisimo tattile delle trecce.
Chi, come me, ha un debole per i ritratti femminili di profilo del primo rinascimento, non mancherà di deliziarsi nel fare confronti con i ritratti di Antonio del Pollaiolo, conservati al Metropolitan Museum e al Museo Poldi Pezzoli di Milano, o con il ritratto di Alesso Baldovinetti della National Gallery, o ancora con il ritratto di Battista Sforza di Piero della Francesca agli Uffizi.

L’umanesimo cavalleresco: Il cavaliere di Vittore Carpaccio
Altrettanto prezioso, eppure meno noto al grande pubblico, è il Ritratto di cavaliere di Vittore Carpaccio. L’uomo — severo, ieratico, armato ma immobile — emerge in una posa di quieta compostezza, inserito in un paesaggio dal sapore quasi metafisico. Il fondo è minuziosamente descritto: un giardino con animali simbolici, rovine classiche così care alla pittura veneta del '500-'700, cieli inquieti. Come spesso accade in Carpaccio, il ritratto è un pretesto per una meditazione allegorica: l'uomo è meno individuo che incarnazione di un ideale di virtù civica e cavalleresca.
Per il mio gusto personale, questa è una delle migliori opere del pittore veneziano, vuoi per l'efficacia prospettica, vuoi per la resa plastica dell'armatura, vuoi per il paesaggio rigoglioso o per la composizione tutto sommato efficace, anche se un po' caotica.
La violenza del sacro: Santa Caterina di Caravaggio
In contrasto radicale con la rarefatta astrazione del Ghirlandaio e con l'allegoria moralizzata di Carpaccio, ecco il Caravaggio con la sua Santa Caterina d'Alessandria. Qui, la santa non è più l’emblema etereo della virtù ma una creatura viva, carnale, tangibile, come si conviene allo stile popolare di Caravaggio. La figura — modellata su una prostituta romana, secondo la consueta iconografia caravaggesca — posa con la spada e la ruota del martirio, ma lo sguardo malinconico, la pelle levigata, la luce radente che ne esalta la fisicità, parlano un linguaggio drammaticamente umano. La santa non è più simbolo ma esperienza vissuta.
Da un punto di vista stilistico, per affinità cromatica, l'opera mi ricorda la Madonna dei Pellegrini nella Basilica di Sant'Agostino a Roma, mentre sul piano narrativo sembra quasi un antefatto della notissima Giuditta di Palazzo Barberini.

altre opere notevoli
Autoritratto di Rembrandt: fra i mille autoritratti di Rembrandt questo non è di sicuro il mio preferito; la fisionomia è un po' spenta e mancano i prodigi di luce che caratterizzano il pittore fiammingo; ciononostante mi è inevitabile sussultare ogni volta che un Rembrandt appare sulla parete di un museo.
L'altalena di Fragonard: un autore che ho sempre guardato con un po' di sussiego e ultimamente comincia a interessarmi; qui, pure nella leziosità tipica del Rococò, ha un tocco particolarmente vellutato; la stesura della pittura a olio è così lieve che a tratti sembra quasi un acquerello.
La ballerina di Degas: più che un ritratto, un’istantanea del gesto. Il tutù è tratto vibrante, quasi sfuggente, come a dire che l’arte vera non si lascia mai afferrare del tutto. Colori insolitamente saturi per Dégas, sembra quasi una fotografia di Saul Leiter.
John Singer Sargent: tendo a pensare a Sargent come a un Giovanni Boldini che non ci ha creduto abbastanza, ma è innegabile l'eleganza di alcune sue opere; il ritratto della duchessa di Sutherland è gradevole nella sua ricerca di infinite sfumature del verde.
Paul Klee: infantile e intellettuale come sempre, qui sembra quasi esplorare il cubismo, con colori caldi di terra e mattone.
Francis Bacon: il ritratto di George Dyer è l'ennesima variazione sul tema delle figure disarticolate, urlanti, intrappolate in gabbie esistenziali di Bacon. Qui ci sono due aspetti inediti: da un lato l'aspetto cromatico, insolitamente luminoso e tenue, dall'altro il tema degli specchi e dei riflessi, che mi affascina particolarmente in tutte le arti visive, dall'autoritratto di Parmigianino, a las Meninas di Velazquez, dagli autoritratti di Vivian Maier, a Orson Welles...
Museo Thyssen-Bornemisza. Conclusione.
Il Museo Thyssen-Bornemisza è un piccolo museo di nicchia, basato prevalentemente sulla collezione privata della famiglia Thyssen. Chi sia interessato a scattare selfie davanti a opere popolari può tranquillamente dirigersi altrove, mentre gli amanti d'arte vi troveranno un gustoso diversivo rispetto ai più noti musei della capitale.




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